Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Siamo a Kabul per la pace

default_image

  • a
  • a
  • a

Le lente ore che hanno ieri accompagnato la giornata delle istituzioni e della politica hanno infatti registrato una consonanza di accenti e di propositi che abbiamo ora la responsabilità di coltivare come un bene prezioso per il nostro futuro. L'Italia può dare molto alla nuova politica per l'Afghanistan perché ha conquistato sul campo, e anche nella formazione della Polizia nazionale Afghana, un prestigio unanimemente riconosciuto, bilanciato da una importante presenza civile che conosce molto bene parole come umanità, dedizione e simpatia. Il sapiente dosaggio di sicurezza e impegno civile può rappresentare la via italiana ad un Afghanistan liberato dalla schiavitù talebana. È quanto illustrerò ai miei colleghi del G8 a New York per contribuire a definire la prospettiva di un nuovo Piano della comunità internazionale per la ricostruzione dell'Afghanistan. Un Piano che ruoterà attorno a tre grandi capitoli: l'azione politica, quella della ricostruzione istituzionale, civile ed economica; la sicurezza. L'impegno in Afghanistan è qualcosa di più e di diverso dell'impegno in una guerra lontana dalla nostra geografia. Il terrorismo si rivela ancora letale e globale, la sua minaccia pesante e sofisticata, forte dei soldati di un esercito asimmetrico e di messaggi penetranti lungo la rete dei media, vecchi e nuovi. Per questo motivo noi siamo in Afghanistan, parte importante di una missione composta da una forza internazionale che impiega 100 mila militari provenienti da circa 40 nazioni: inizialmente per sorvegliare Kabul dai talebani e proteggere il governo di Hamid Karzai, successivamente per presidiare l'intero territorio nazionale. Sono 3000 le unità italiane ed il nostro Paese rappresenta il quarto contingente in termini di truppe impegnate a presidiare la sicurezza dell'Afghanistan, diventata progressivamente il nr 1 dell'agenda della politica, non soltanto degli Stati Uniti. Ma accanto al binario della sicurezza corre quello degli aiuti per le riforme - la giustizia, le istituzioni e il buon governo; ma anche infrastrutture, ospedali ed aiuti umanitari per rifugiati e sfollati – un binario che vede il contributo civile dell'Italia situarsi a quota 356 milioni di Euro a maggio 2009. La potenza mediatica delle notizie del terrore e della guerra oscura purtroppo questa parte della politica del fare e l'eroismo della vita quotidiana di cui danno prova tanti nostri connazionali, interpreti di quello “spirito italiano” che ci lega in molte parti del mondo alla simpatia ed all'amicizia di popolazioni martoriate. Se il sacrificio dei nostri ragazzi ripropone con forza il tema di un codice per le missioni internazionali – che non è soltanto problema italiano – sul versante della società civile si gioca la partita di una rinnovata politica che sappia conquistare i cuori della gente.

Dai blog