Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

La Capitale set a cielo aperto

San Pietro

  • a
  • a
  • a

L'ocra e il giallo che colorano i suoi palazzi e vengono enfatizzati dalla luce del tramonto, i vicoli e le piazze che nascondono secoli di storia, i cortili invisibili che offrono sorprese imperscrutabili dall'esterno, le case affrescate che non hanno nemmeno bisogno di ritocchi prima delle riprese. E poi i monumenti, le rovine marmoree che punteggiano l'Urbe e rimandano ai fasti del passato, il Colosseo, Fontana di Trevi, piazza di Spagna, il Circo Massimo. Roma è tutta un set a cielo aperto. E il cinema italiano parte proprio dalla città del Cupolone. Il primo «film narrativo» della nostra neonata cinematografia è del 1905, «La presa di Roma», diretto da Filoteo Alberini. La capitale è stata la culla delle «immagini in movimento», che debuttarono il 13 marzo 1896 con una proiezione in via del Mortaro 17, vicino piazza San Silvestro. Un locale che in precedenza veniva usato come stalla e che ora è un garage. Già nel 1907 la città eterna contava oltre 50 saloni dove si poteva vedere un film. Ma non è l'unico primato romano. La metropoli dei sette colli è stata anche la capitale dei set, sfondo scelto da molti registi per capolavori di livello internazionale. Una caratteristica che gli ha fatto guadagnare il soprannome di «Hollywood sul Tevere».   Questo vero e proprio museo all'aperto del cinema italiano ha i suoi «gioielli» nel centro storico, a cominciare dalla fontana di Trevi («La dolce vita» di Fellini), sicuramente l'icona più filmata del mondo, passando da piazza di Spagna, piazza del Popolo e via Margutta di «Vacanze romane» con Gregory Peck e Audrey Hepburn (1954), per arrivare a «Poveri ma belli» a Castel Sant'Angelo e senza dimenticare le zone più popolari, come il Testaccio di Pasolini («Accattone») e il Trastevere di «Mamma Roma».   Un altro dei punti della città più sfruttati dal mondo della celluloide è piazza Navona, dove abitavano i protagonisti di «Poveri ma belli», Maurizio Arena e Renato Salvatori, quando ancora il Centro capitolino non era riservato ai ricchi. Stesso palcoscenico per uno degli spogliarelli più sensuali della cinematografia tricolore: Sofia Loren lo fa davanti a Marcello Mastroianni in un «interno» di uno stabile della piazza. Mentre, più, di recente (1999) il regista Anthony Mingella la sfrutta in versione Anni '50 per «Il talento di Mr. Ripley». Nel triangolo compreso fra via Sistina, via Crispi e via del Tritone sono stati girati molti film di Roberto Rossellini, oltre che «Ladri di biciclette» di Vittorio De Sica. Nel 1952 quest'ultimo aveva utilizzato anche piazza della Rotonda (Pantheon) per una struggente scena di Umberto D. Dieci anni più tardi, lì vicino, in piazza di Pietra, sede della Camera di commercio romana, Michelangelo Antonioni immortalò Monica Vitti e Alain Delon nel suo «L'eclisse». Potremmo continuare all'infinito. A piazza Farnese (e non a via Merulana) c'è l'edificio adottato da Pietro Germi per «Un maledetto imbroglio», tratto dal «pasticciaccio» di Carlo Emilio Gadda. Oltre a veder sfrecciare in sella a una «Vespa» Peck e la Hepburn, gli «scalini spagnoli» servirono nel 1974 come ambientazione per una delle più belle scene di «C'eravamo tanto amati» di Ettore Scola, che si è servito molto anche di piazza del Popolo (qui Nino Manfredi incontra dopo un quarto di secolo Vittorio Gassman). Per quanto riguarda il Colosseo, l'elenco è lunghissimo: vi sale sopra per protesta Aberto Sordi in «Un americano a Roma» (1954) e qui si svolge il finale del film che rese famoso Bernardo Bertolucci, «Il conformista», uscito nel 1970 e basato sul romanzo di Alberto Lattuada, tanto per citare due esempi. Lasciandoci alle spalle i «mostri sacri» del cinema italiano, opere più moderne hanno avuto come sfondo cortili, palazzi e strade della capitale. «Palombella rossa» di Nanni Moretti (1989) si conclude nel parco del Circo Massimo; Gabriele Muccino per «L'ultimo bacio» (2001) scelse uno dei colli preferiti dai «cinematografari» nostrani: l'Aventino; nel quartiere Ostiense si ambienta «Le fate ignoranti» di Ferzan Ozpetek (2001). E, non a caso, il pellegrinaggio agostano di Nanni Moretti in «Caro diario» (1993) si conclude su un prato incolto a pochi passi dal mare: è l'Idroscalo di Ostia, dove la mattina del 2 novembre 1975 venne trovato il corpo quasi irriconoscibile di uno dei più grandi poeti italiani, Pierpaolo Pasolini. Che, non a caso, era anche un regista. Mau. Gal.

Dai blog