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Franceschini e Bersani Rivali ma non tanto diversi

Franceschini e Bersani

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Mancano poco più di due mesi al congresso del Pd e non si capisce ancora in che cosa si distinguano davvero sul piano politico i candidati alla segreteria, soprattutto i due maggiori. Che sono il segretario uscente Dario Franceschini, sostenuto dal suo predecessore Walter Veltroni, e l'ex ministro Pier Luigi Bersani, sostenuto da Massimo D'Alema. Del povero Ignazio Marino, il terzo incomodo spinto in pista dall'ex veltroniano Goffredo Bettini, è inutile parlare perché le sue possibilità di partecipare alla volata finale, completa di primarie, appaiono francamente nulle. A parte le simpatie o antipatie che hanno suscitato direttamente, o che hanno ereditato dai loro principali sostenitori, né Franceschini né Bersani hanno voluto o potuto spiegare che cosa intendano fare alla guida del maggiore partito di opposizione sui problemi reali della loro formazione politica o su quelli del Paese. Che non sono i problemi della vita privata del presidente del Consiglio, nonostante gli sforzi che si fanno dalle loro parti per lasciarli al centro del dibattito politico.   Fallita ormai chiaramente l'aspirazione di Veltroni alla cosiddetta vocazione maggioritaria del Pd, subito contraddetta d'altronde dallo stesso Veltroni con la decisione infausta di apparentarsi nelle elezioni politiche dell'anno scorso con Antonio Di Pietro, non si è ancora capito a quali nuove alleanze aspirino Franceschini e Bersani per avere una sia pur minima possibilità di contendere la prossima volta la vittoria al centrodestra. Del quale l'uno e l'altro sognano l'implosione scambiando i raffreddori nella maggioranza per polmoniti, o peggio ancora. Vogliono aprire più all'Udc, sino a proporre a Pier Ferdinando Casini di fare il Romano Prodi delle prossime legislature, o alla sinistra nata dalla ultima scissione della Rifondazione Comunista, dopo quella che già si consumò undici anni fa? E se pensano di poter conciliare l'una con l'altra, visto che l'ex rifondarolo Nichi Vendola ha scoperto in Puglia la possibilità e l'utilità di accordarsi con il partito di Casini, pur continuando a considerarsi incompatibile sul piano morale con il senatore casiniano Salvatore Cuffaro, come immaginano di risolvere la partita con Di Pietro? Al quale il Pd, andandogli a rimorchio sulla strada dell'antiberlusconismo ma mai abbastanza per accontentarlo, ha ceduto tanti di quei voti da non poterlo più ripudiare come alleato per ragioni di aritmetica elettorale.   D'altronde, Di Pietro ha già avvertito che proprio grazie ai voti sottratti al Pd egli intende alzare il prezzo della partecipazione al cartello che dovesse prendere il posto dell'Unione del 2006, o dell'Ulivo delle elezioni precedenti. Fra le condizioni già poste dall'ex magistrato vi sono un no grosso come una casa all'Udc e il riconoscimento della «pari dignità» fra gli alleati. Che fu la formula adottata dal Psi a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta per rivendicare, nei rapporti con la Dc, prima un maggior numero di ministri e poi la guida del governo. Ve l'immaginate un centro-sinistra prossimo venturo lasciato guidare dal Pd di Franceschini o di Bersani a uno come Di Pietro? Solo a pensarci vengono francamente i brividi, neppure paragonabili a quelli avvertiti dalla sinistra democristiana nel 1983, quando fu costretta ad accettare, con Ciriaco De Mita alla segreteria del partito, l'arrivo di Bettino Craxi alla guida del governo. Craxi era Craxi, Di Pietro è Di Pietro. Ne converranno anche i più feroci antisocialisti ancora presenti nel Pd.   Oltre che sulle pur essenziali alleanze, Franceschini e Bersani hanno evitato sinora di uscire dalle frasi e dai propositi generici, o dal rifiuto preconcetto delle soluzioni adottate o indicate dal governo, sui temi della crisi economica, del divario tra Nord e Sud, della riforma costituzionale, di quella della giustizia, o più semplicemente delle intercettazioni. Che qualche giorno fa l'editorialista del Corriere della Sera Angelo Panebianco ha indicato come il problema più immediato con il quale il Pd potrebbe essere chiamato a misurarsi concretamente, dopo che il presidente della Repubblica è riuscito a convincere la maggioranza a rinviare all'autunno la discussione al Senato sulla nuova disciplina approvata dalla Camera. Ma in autunno Franceschini e Bersani avranno altro di rigorosamente generico da fare nella loro corsa congressuale alla segreteria del partito. Francesco Damato

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