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«Il mio cuore di grappa»

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«Ogni 6 gennaio ripeto il rito, un'usanza delle nostre parti. Brucio una catasta di canne di granoturco e ramaglie, guardo quale direzione prende il fumo. Se vira verso il mare, vuol dire che l'annata è buona. Lo scorso 6 gennaio è andato verso il mare. Evviva». Giannola Nonino, «dinamite» come la chiamano New York Times ed Herald Tribune. E anche Cavaliere del Lavoro e dottore honoris causa in Economia Aziendale. O semplicemente «grappaiola» che del vizio assurdo dell'ottimismo non si libera mai. Sorride fiduciosa con il suo Benito, le tre figlie e la bottiglia di grappa nella foto di Oliviero Toscani. Messaggio che è tutto ok, di generazione in generazione. Lady Dinamite ha nobilitato la grappa rivoluzionando il modo di produrla, girando il mondo per farla conoscere, ai pranzi ufficiali, con le sue ragazze - Cristina, Elisabetta e Antonella - e offrendola al dessert. Una sfida al cognac e al wisky. Ha vegliato accanto all'occhio esperto di Benito la nascita di distillati innovativi: da un unico tipo di vitigno, dall'uva intera invece che dalla vinaccia spremuta, dal miele. Ha inventato un Premio, il Risit d'Âur (che a Udine e dintorni significa Barbatella d'oro) per difendere le vigne autoctone friulane a rischio estinzione. Poi lo ha dilatato con una sezione letteraria e un'altra internazionale. Dinamite, o mecenate, o imprenditrice (la Nonino, sede a Percoto-Udine, fatturato 2007 17.603.465,00 euro, il 35 per cento all'estero, 30 dipendenti più i cinque membri della famiglia Nonino) non pecca di ottimismo in questa tempesta finanziaria mondiale? Il nostro ottimismo non è dettato dall'incoscienza, ma dalla consapevolezza di aver creduto sempre nella nostra azienda investendo in ricerca, innovazione per l'ottenimento dell'assoluta qualità, tanto da trasformare la grappa, ritenuta un retaggio della miseria, in status symbol del bere bene. Esportate in 127 Paesi esteri, tra cui Germania, Russia, Austria, Svizzera, Usa, Canada. Negli ultimi anni sempre più in Cina e negli Emirati Arabi. In che cosa consiste il «miracolo economico Nonino? Nella ostinazione a privilegiare la qualità rispetto alla quantità. Nell'aver creato, 1 dicembre 1973, la Grappa Cru Monovitigno: il Picolit Nonino. Nel fare grappa con alambicco artigianale discontinuo, cotta per cotta, imbottigliando esclusivamente quanto da noi prodotto. Insomma, come fate la grappa, voi? Distilliamo con alambicchi artigianali discontinui di rame che richiedono costi di produzione altissimi e molta manodopera, ma sono gli unici a garantire la qualità. Dentro gli alambicchi, i cestelli con la vinaccia freschissima, selezionata. Il vapore ci passa attraverso, ne estrae i vapori alcolici, sale ancora e si esalta l'aroma e la gradazione. Quello stesso vapore, a contatto con il freddo, nella colonna della distillazione diventa liquido. È la grappa. Ma attenzione: la prima è torbida, a bassa gradazione. Poi, goccia a goccia, diventa cristallina. La vedi. E senti il profumo. È il cuore del distillato, quello va preso per imbottigliarlo. Poi succede l'opposto, la gradazione ridiscende. È la coda della grappa, va scartata. E così durante tutta la vendemmia, quintale per quintale, la vinaccia in distillazione va vegliata da una persona tutto il tempo. Cotta per cotta, perché ogni cotta, diciamo noi, è un evento unico e diverso. Un'emozione che invito tutti a provare. Invece che cosa succede con il metodo industriale? È completamente automatico, l'uomo non segue più la trasformazione della vinaccia. E, non potendo intervenire, non è in grado di adattare la distillazione alla materia prima. La distillazione industriale ha bassi costi di produzione, il distillato che si ottiene è neutro e non ha nulla a che vedere con la tipicità della grappa. Che cosa vorrebbe chiedere al ministro Zaia? Di dare alla grappa l'obbligo di un disciplinare rigoroso che ne certifichi la tracciabilità. Ho trovato la disponibilità a battersi per la trasparenza del prodotto per primo in Alemanno, quand'era ministro dell'Agricoltura. E anche in Di Castro, suo successore. Chiediamo al ministro Zaia di far valere l'obbligo di indicare in etichetta il nome del distillatore e non solo quello dell'imbottigliatore. Oltre al divieto di aggiungere aromi alla grappa, stravolgendone gusto e carattere. Perché? In Italia solo circa il venti per cento della grappa è imbottigliata dal distillatore che la produce, l'altro 80 per cento viene acquistata dall'imbottigliatore presso svariate distillerie. Proliferano le etichette, il consumatore non sa da dove viene il prodotto, se è uscito da un alambicco artigianale o da uno industriale, se il prezzo è gonfiato, che tipo di vinaccia si usa». Dinamite, com'è diventata "grappaiola"? Distillare può essere un mestiere da donna? A diciotto anni ho incontrato Benito Nonino, l'uomo della mia vita: innamoramento, amore e passione, prima per lui e poi anche per il suo mestiere: l'arte della distillazione. Quando l'ho sposato e sono andata a vivere in casa sua, mia suocera mi avvertiva: non scendere mai in distilleria, ti incastrano...». Lei non ha ubbidito. «La distillazione, questo miracolo alchemico, mi affascinava. Una sorta di folgorazione. Benito mi ha detto: ti insegno a distillare. Allora io giù, a scegliere nelle vigne, dai viticoltori, la materia prima e a vegliare gli alambicchi, per tagliare la testa e la coda della grappa, per chiudere il vapore al momento giusto». Anche le sue tre figlie hanno fatto lo stesso. «Sono nate tra le vinacce. Ho partorito Betty a novembre, il giorno prima ero in distilleria. Da piccole le portavo con me quando incontravo i contadini per acquistare le vinacce, sul camion quando andavo a ritirarle, in laboratorio mentre distillavo. L'altra faccia di Giannola, imprenditrice mecenate. «Era il 1975 e la maggior parte delle persone riteneva che la civiltà contadina fosse morta. Il Premio Nonino è nato per tutelare quella civiltà, nel rispetto della storia, della cultura, delle tradizioni della nostra splendida terra. Sapere e rispetto delle tradizioni sono sullo stesso piatto. A Percoto abbiamo ospitato personaggi straordinari: ricordo con emozione il soggiorno di Leonardo Sciascia. Nella nostra casa è rimasto tre mesi, ha scritto "Il cavaliere e la morte". Nella dedica si legge: "A Giannola e a Benito, alla cui amorosa ospitalità si deve questo libro"». Il ricordo più bello? «Difficile. Tra i tanti, questo. Sono a Parigi con la moglie di Altan, Mara, per incontare Lévy-Strauss e comunicargli l'assegnazione del Premio Nonino 1986. Leggo che debutta Tognazzi nell'Avaro di Moliere, mi do da fare per comprare i biglietti all'ultimo momento. Nel foyer vedo Scola con Mastroianni, l'attore che ho sempre adorato. Mi faccio coraggio, mi avvicino, mi presento: "Mi scusi, sono una sua ammiratrice, mi chiamo Giannola Nonino...». E lui: «Nonino, la grappa? Signora, mi inchino davanti a lei».

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