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"Cercano visibilità perché non rappresentati"

Giuliano Cazzola

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«È stato un colpo di mano di una parte del sindacato legata allo stabilimento di Pomigliano». Giuliano Cazzola prova a leggere quanto accaduto a Torino senza lasciarsi trascinare nel vortice delle polemiche politiche. L'economista, oggi deputato del Pdl e vicepresidente della commissione Lavoro, non crede che l'aggressione al segretario Fiom Gianni Rinaldini segni l'inizio di una stagione di scontro, anche se non nega che sull'intera vicenda il sindacato abbia più di una responsabilità. «Probabilmente la protesta è stata sottovalutata dal punto di vista organizzativo - spiega -. Ma è evidente che quando non si è chiari sulla linea di condotta, si crea spazio per questi gruppi». Quindi si è trattato di un «regolamento di conti» interno? «È una reazione di alcuni lavoratori contro il sindacato che sta giustamente cercando di salvare il salvabile ma che, secondo loro, non è stato in grado di condizionare le scelte dell'azienda. Si domandano: che ne sarà di noi? E per questo chiedono la nazionalizzazione della Fiat. Ma si tratta di un'idea antistorica». Perché? «Perché una Fiat che si chiude su se stessa e guarda solo in casa è condannata a morire. Bisogna capire che stiamo andando verso un mercato in cui i produttori di auto saranno sempre di meno e, in questo scenario, un'azienda italiana riesce ad affermarsi per la qualità dei suoi prodotti. Ma un'azienda che si internazionalizza, si trasforma, ed è indubbio che questo impone dei sacrifici». Come giudica il fatto che lo scontro sia avvenuto all'interno dell'ala del sindacato più ostile al governo? «Come si dice: c'è sempre uno più puro che ti epura. Rinaldini ha scelto una linea strumentale ed è stato scavalcato da chi ritiene di avere le carte più in regola della sue». Crede che ci sia anche una responsabilità politica su quanto accaduto? «In realtà mi sembra che la sinistra abbia abbastanza ignorato il caso Fiat. In fondo si tratta di un'indicazione concreta che la crisi è vicina alla fine. Parlarne significa non portare acqua al mulino di chi sostiene che siamo allo sfascio». Magari i Cobas protestano proprio perché non si sentono rappresentati politicamente? «Si tratta di una parte del sindacato normalmente vicina e protetta dai partiti comunisti. E siccome questi partiti sono fuori dalle istituzioni, c'è sicuramente un elemento di ricerca di visibilità». La stessa che muove il Pd quando vi critica sulle misure anticrisi? «La situazione resta difficile, è evidente. I dati sono brutti anche se non catastrofici. Io sono tra quelli che pensa che siamo pronti a risalire. Ma in ogni caso non mi sembra che i Paesi che hanno messo in campo le misure sponsorizzate dalla sinistra stiano meglio di noi».

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