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L'appello ai cristiani: non fuggite, qui c'è spazio per tutti i credenti

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Diun'autentica fuga. Perché i cristiani, dalla Terra Santa, scappano. Da decenni. Vittime di discriminazioni, dell'isolamento, dell'indifferenza. Benedetto XVI, in questo suo straordinario pellegrinaggio, ha rivolto loro un invito, quasi una supplica: non andatevene, restate in questa terra, qui c'è spazio per i credenti di tutte le religioni poiché questo è il luogo dove ogni uomo – anche il cristiano – deve avere la possibilità di parlare direttamente al suo Dio. Ma la storia cristiana in Terra Santa di quest'ultimo secolo è un rosario di umiliazioni e di emarginazione. In cento anni la popolazione dei fedeli in Cristo è passata dal 20 al 5 per cento del totale. Mentre nella sola Gerusalemme il crollo ha assunto proporzioni ancora più drammatiche: dal 20 per cento che erano nel 1948, oggi i cristiani sono soltanto il 2 per cento degli abitanti. Le condizioni di vita, in effetti, sono particolarmente difficoltose, specialmente per i palestinesi cristiani della striscia di Gaza, controllata da Hamas. Le cose vanno meglio in Cisgiordania, ma soltanto perché le autorità locali mantengono un'impostazione laica (se non a-religiosa, fatta di indifferentismo) e soprattutto perché temono un declino demografico che finirebbe per accentuare i già gravi problemi di carattere politico. Ma è il rispetto religioso e sociale che manca: la tranquillità di poter condurre la propria vita di fede senza essere per questo emarginati, qui per i cristiani è una chimera. Tutti problemi chiarissimi nella visione di Benedetto XVI, che non a caso stamattina celebra una messa dal Monte del Precipizio di Nazaret espressamente «dedicata» ai cristiani di Terra Santa. C'è uno spettro da scongiurare: evitare che anche in questi luoghi sacri si rinnovino le rovinose esperienze mediorientali. Il caso più emblematico, in tal senso, è quello del Libano. I maroniti, anche per merito di un delicato gioco di equilibri costituzionali, erano la forza trainante del paese e lo sono stati fino allo scoppio della guerra civile del 1976. Al termine del conflitto, anche grazie all'influenza siriana, il loro peso si è progressivamente ridotto: a decine di migliaia hanno abbandonato la nazione attraverso il porto di Junieh e non hanno più fatto ritorno in patria. A resistere sono i cristiani copti dell'Egitto, che costituiscono ancora il 10 per cento della popolazione, con una importante rappresentanza anche nel ceto politico. Ma anche qui la strisciante intolleranza che si va imponendo in certi ambienti si diffonde nel resto della società, creando un clima di fatto sempre meno favorevole ad una minoranza religiosa che si trova a vivere in un paese fino a non molti anni fa considerato addirittura l'esempio più costruttivo di Islam moderato. In questo quadro, le parole pronunciate ieri da Benedetto di fronte ai ragazzi del campo profughi di Aida, a 4 chilometri da Betlemme, hanno risuonato come una denuncia. «Voi vivete in condizioni precarie e difficili – ha detto il Papa ai giovani - vi sentite intrappolati in una spirale di violenza, di attacchi e contrattacchi, di vendette e di distruzioni continue. Non perdete coraggio, perché tutto il mondo desidera fortemente che sia spezzata questa spirale». Rod.Lor.

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