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Un'intesa figlia dell'arte della mediazione di Fitto

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Natopoco meno di quarant'anni fa, l'ex presidente della regione Puglia sta rivelando tutte le doti di quel «dialogo operoso e costruttivo» che ha reso celebre colui che considera il suo maestro, e cioè Gianni Letta. Se il piano casa è stato varato ieri dal governo è stato anche per il lavoro intenso di confronto con gli enti locali che Fitto ha svolto con determinazione e pazienza. Il provvedimento era infatti avversato da un vasto fronte che vedeva insieme Pd, Cgil, Regioni e — stando ai mormorii del Transatlantico — presidenza della Repubblica. La settimana scorsa, alla vigilia del congresso del Pdl, Berlusconi sembrava aver perso le speranze di poter riuscire a ottenere il via libera al decreto: i veti posti dagli interlocutori istituzionali sembravano insormontabili. La diplomazia di Fitto — insieme a quella di Matteoli e degli uffici della presidenza del Consiglio — non si è fermata un attimo ed alla fine ha piegato le resistenze convincendo anche i più riottosi. L'arte democristiana della mediazione il ministro degli Affari Regionali la respira da quando era in culla. Nato a Maglie, la stessa città di Aldo Moro, Raffaele Fitto è quel che si dice un figlio d'arte. Suo padre, Salvatore, era un importante esponente della Dc e presidente della regione Puglia dal 1985 al 1988. Fu un tragico incidente stradale a stroncare prematuramente la carriera di Totò Fitto e a determinare per certi versi l'impegno di Raffaele che, a soli 21 anni (era il 1990), sedeva già in Consiglio regionale. Da quel momento in poi è stata una corsa inarrestabile. Nel '95 diviene vicepresidente della giunta pugliese e nel '99 viene eletto al Parlamento europeo con una quantità di preferenze tale da impressionare lo stesso capolista (Berlusconi) e imporsi come candidato alla presidenza della Regione l'anno dopo, il 2000. Fitto — allora di anni ne aveva 31 — vince, sbaragliando l'avversario di centrosinistra. Finito il mandato, subisce uno smacco forse inatteso: viene sconfitto — seppur per una manciata di voti — da Niki Vendola, candidato comunista. Non tutti i mali vengono per nuocere, però. Perché questa sconfitta aiuta a Fitto a ripartire e a farlo da Roma: nel 2006 come deputato e nel 2008 come ministro. Nel suo sito Raffaele Fitto tiene a precisare: «Non è vero che sono cresciuto a pane e politica. Ho avuto un'infanzia e un'adolescenza simile a quelle di tantissimi altri. La scuola, il calcio e come tanti la motocicletta, gli amici, il paese, i viaggi». Sarà pure un ragazzo «normale» ma non v'è dubbio che sono pochi, soprattutto in Italia, i trentenni che possono vantare il suo curriculum. D'altronde, se Silvio Berlusconi ha scelto di scommettere su di lui e su altri giovani come la Gelmini e Angelino Alfano, qualche buona ragione deve averla avuta. E Fitto, per parte sua, cerca di ricambiare la fiducia lavorando sodo con i suoi collaboratori più stretti (Ernesto Somma, Raffaella Marin, Gigi Magagnano, Raffaele Gorgoni). È stato lui a determinare l'intesa con le Regioni per la riforma degli ammortizzatori sociali che ha consentito di recuperare ben otto miliardi di euro. È stato lui accanto a Calderoli nelle mediazioni per il federalismo fiscale. È ancora lui che sta per varare il regolamento del governo sulla liberalizzazione dei servizi pubblici. Ed è infine lui che sta ragionando ad una sorta di Patto per il Sud, ad un accordo cioè per rifocalizzare in chiave anti-crisi tutti i fondi comunitari (a partire dai Fas) destinati al Mezzogiorno. Le sfide che aspettano Fitto sono tante, e numerose sono e saranno le insidie. Da buon pugliese di scuola Dc, il ministro degli Affari regionali ha imparato a smussare gli angoli e a saper attendere. Sa che il suo compito ora è nel governo e dentro un gioco di squadra. Non è un caso che la sua stella polare sia Gianni Letta, il leader del partito dell'Armonia. Paolo Messa

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