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Pescara: il folle gioco di D'Alfonso con la città

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Partiamo dall'inizio: il sindaco di Pescara «fiuta» un provvedimento restrittivo. Non è tipo da stare lì ad aspettare che il destino si compia: si arma di carte ed avvocato e va dal sostituto procuratore Gennaro Varone, titolare dell'inchiesta. Luciano D'Alfonso spiega, giustifica, illustra. Soprattutto porta, già scritta, la lettera di dimissioni da sindaco: siamo a una manciata di giorni dalle elezioni regionali, per evitare polemiche l'accordo è che l'atto venga protocollato il martedì. Nella notte precedente a D'Alfonso viene notificato il provvedimento con cui il gip De Ninis dispone gli arresti domiciliari. Il Pd si sveglia più annichilito che stordito: i risultati delle regionali e il leader (D'Alfonso ricopriva l'incarico di segretario del partito) accusato di reati di corruzione e concussione, sono un «uno-due» che neanche un pugile dal gran fisico riuscirebbe ad assorbire. Il centrosinistra scende in campo a difesa, ma le difficoltà sono evidenti. Per tutti, meno che per «big Luciano», il quale si riarma di faldoni e avvocato per un interrogatorio di garanzia in due puntate. Il giorno della Vigilia di Natale è libero, con una motivazione dagli accenti pesanti, che ha anche il sapore di un avvertimento. In soldoni, il provvedimento è revocato soprattutto perché D'Alfonso, dimettendosi, ha dimostrato di voler rescindere il legame con l'ambiente nel quale i reati potrebbero essersi consumati: tecnicamente niente sospetti di inquinamento delle prove, né di reiterazione del reato. Veltroni, venuto a conoscenza della revoca brinda al collega di partito e accusa i giudici, tirandosi addosso una valanga di accuse. Alla vigilia dell'Epifania i giochi sembravano fatti: il decreto di scioglimento del consiglio comunale per dimissioni del sindaco e l'arrivo di un commissario solo gli ultimi, scontati passaggi prima delle elezioni. Invece no. D'Alfonso tira un colpo di stecca che cambia tutto l'assetto della partita: ritira le dimissioni e si autosospende per motivi di salute allegando certificato medico; la giunta ravvisa l'impedimento a ricoprire le funzioni e, a norma dell'articolo 53 del Testo unico degli Enti locali, passa tutto nelle mani del vicesindaco, Camillo D'Angelo. C'è la continuità di gestione del Comune e il commissario resta «in mente dei». È l'effetto immediato. Ce n'è uno secondario a cui nessuno vuol pensare. Nemmeno un Pd stordito da una mossa tanto ardita. A norma dell'articolo 51 dello stesso Testo unico Luciano D'Alfonso, inchiesta permettendo, potrebbe nuovamente candidarsi a sindaco: il suo mandato ha avuto durata inferiore a due anni, sei mesi e un giorno, non si è dimesso e può tornare in corsa. Teoria, pura teoria, ma di fronte ad un uomo che anche i giudici accusano di «padroneggiare il potere», non è un aspetto da sottovalutare. La sensazione è che anche il suo partito, questa volta, sia rimasto con il fiato sospeso: abbandonato in giunta dall'Idv, che ha deciso di ritirare l'appoggio; mitragliato dalle opposizioni, che non hanno certo gradito la «sveltezza». D'Angelo si è affrettato a dire che a giugno si voterà, e certamente sarà così. Anche se rimane un passaggio tecnico da attuare: di nuovo lo scioglimento del consiglio; il decreto, per legge, deve arrivare entro il 24 febbraio, altrimenti bisognerà attendere la prossima tornata. Ma vista la situazione si tratta di un'eventualità francamente improbabile. E alle urne uno con l'ambizione di Luciano D'Alfonso potrebbe trasformarsi, anche in un pericoloso nemico, se scegliesse di candidarsi ad ogni costo.

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