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Coppie di fatto,

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serve una disciplina per chi divide una casa

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Il merito è la legge che si vuol fare e le situazioni che si vogliono disciplinare. Il metodo è la maniera in cui una legge si fa, le volontà che la indirizzano, la sintesi che ad essa è sottesa perché sia una legge autorevole e cioè riconosciuta da tutti i consociati. Partiamo dal merito: serve una legge sulle coppie di fatto? Si e no, potremmo azzardare: non serve se immaginiamo una legge che fondi un istituto ancillare al fianco del matrimonio, una specie di coniugio di importazione parallela dai mercati del nord Europa. Serve, al contrario, una disciplina più compatta dei diritti già esigibili nel nostro ordinamento da parte dei cittadini che dividono un'abitazione sulla base di un rapporto che sia di affetto oppure no. Due ragioni militano per un intervento legislativo: la prima è che altrimenti il disordine sarà presto colpito da una sentenza scaturente dalle molteplici iniziative giudiziarie pendenti; la seconda ragione è che una legge ben fatta pone fine a una diatriba tutta ideologica dove a contrapporsi non sono cattolici e laici, ma da una parte gli anticlericali e dall'altra una curiosa compagnia di atei devoti e integralisti in cerca di candidature sicure. Si aggiunga che proprio nessun motivo di principio può preoccupare i cattolici perché l'esistenza di norme dedicate a convivenze di fatto non li riguarda, la fattispecie essendo esclusa in tutte le sue forme dai modelli etici previsti dal cattolicesimo. Ben diverso discorso riguarda l'aborto e il testamento biologico: se la definizione scientifica di vita protegge un arco temporale compreso tra gravidanza e morte naturale, ogni decisione di interrompere la vita mette una pesante responsabilità in capo a chi la pratica o anche solo al legislatore che la permette e la disciplina. In altre parole a me, che sono sposato e padre di famiglia come vuole Santa Romana Chiesa, non viene nessun peccato e nessuna colpa giuridica dal fatto di disciplinare i diritti necessari di chi vive uno stile di vita diverso dal mio. Paradossalmente, è più complesso definire un orientamento sui temi etici dell'inizio e della fine della vita. E, allora, perché ci si scalda tanto contro i DiDoRe senza nemmeno averli letti? Forse perché da un pò la Chiesa percepisce e un pò si rassegna a una minorità numerica che si innerva e si innervosisce in una sorta di testimonianza estrema e di frontiera. Essa genera un istinto difensivo che individua una specie di frontiera di salvezza: l'identificazione (in passato non scontata) tra legge di Dio e diritto naturale, e la coincidenza dello stile cristiano con l'istituzione della famiglia. Un pò bassina questa frontiera per chi è nato negli anni di un Concilio che apriva la speranza di una nuova egemonia dolce del cattolicesimo attraverso aperture e, forse, contaminazioni mai compromessi mondani. E finiamo con un'annotazione sul merito, che è il motivo della nostra passione polemica: c'era una volta la Dc e, prima ancora, il laicato cattolico. La Chiesa parlava e cresceva con le parole e i gesti del clero e del laicato cattolico il cui protagonismo è stato assoluto ed ha avuto nella Democrazia Cristiana la sua espressione politica. Al laicato cattolico e alla Dc competeva non già di eleggere in Parlamento relatori appassionati dei sacri principi, ma mediatori capaci di quei principi con quelli altrui per un'armonica convivenza sociale. Il risultato fu una Repubblica che fece convivere comunisti e cattolici, credenti e non credenti, e i mediatori si chiamarono De Gasperi, Moro, Dossetti, La Pira, Fanfani. Mai questi mediatori confusero il loro ruolo con quello della Chiesa perché avevano chiaro il proprio doppio carisma: da cattolici erano parte di un laicato non contrapposto ma complementare al clero; da legislatori sapevano che l'egemonia di un partito cattolico era ad un tempo condizione ed obbligo di laicità. Oggi assistiamo alla liquidazione di questo metodo in favore di un intervento diretto della Chiesa su tutti i temi politici e di un allineamento senza fede dei due principali partiti politici. Ormai sono abbonati alle questioni etiche due porporati e un monsignore, che danno la linea, e cinque simpatici colleghi parlamentari che porgono sulle agenzie di stampa la genuflessione dei principali partiti. C'è da chiedersi, con moltissima umiltà, come la Chiesa possa auspicare una nuova generazione di politici cattolici se lascia una corda tanto corta al laicato cattolico togliendogli ogni potere di mediazione che è l'unico luogo in cui può formarsi una classe dirigente capace di tenere unito un Paese. *Ministro per l'Attuazione del Programma

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