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Giancarla Rondinelli [email protected] Quando si ...

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Uno degli atenei più importanti a livello internazionale, una struttura descritta recentemente da una rivista d'architettura come un «piccolo gioiello». Qui a tenere le fila c'è uno dei teologi più auteroveli, Rino Fisichella, arcivescovo, cappellano di Montecitorio, presidente della Pontificia accademia della vita e magnifico rettore della Lateranense. Il primo incontro è con Don Marco, segretario particolare di monsignor Fisichella, che invita a fare un piccolo tour dell'ateneo. Un'aula magna completamente restaurata da poco, una biblioteca fornitissima multipiano, e poi una vera chicca, il "fondo Fallaci". Un piccolo museo in cui sono esposti molti oggetti personali della scrittrice donati da lei stessa a monsignor Fisichella, in nome di una profonda e «laica» amicizia: ci sono i suoi taccuini, le penne predilette, la sua macchina da scrivere, c'è persino lo zaino del Vietnam. Prima di arrivare nella zona degli uffici del rettore, bisogna percorrere un lungo corridoio di marmo bianco: antichi quadri del '700 alle pareti, un crocefisso dorato racchiuso in un mobile di legno intarsiato. Don Rino spalanca le porte della sua stanza: ci sono poltroncine di velluto blu. Guarda con aria un po' sospetta e interrogativa, di chi sa bene quale potrebbe essere la prima domanda dell'intervista. Cominciamo con il caso di Eluana Englaro: le sue condizioni peggiorano. E qualche giorno fa la Consulta ha dichiarato «inammissibili» i provvedimenti di Camera e Senato. Che succederà ora? «La decisione della Corte Costituzionale conferma ancora una volta l'urgenza di fare una legge in questo Paese, una legge però per la vita e non per la morte». La battaglia di Beppino Englaro, il papà di Eluana, ha spaccato letteralmente in due l'opinione pubblica. «Non si fanno le leggi sulle emozioni delle persone. Le leggi vanno fatte perché ci sono delle condizioni oggettive che impongono l'intervento del Parlamento. Fin dall'inizio ho espresso la mia più profonda partecipazione e vicinanza alla sofferenza di questa famiglia. Capisco che questo non basta e capisco anche che in Italia ci sono situazioni differenziate. Qualche giorno fa mi è capitato di vedere un blog dove, mi creda, c'era davvero da inorridire per gli insulti che venivano rivolti nei miei confronti e verso la Chiesa. Qualcuno si augurava che potessi essere io a vivere in uno stato di coma vegetativo. Quindi può immaginare in che condizioni vive un Paese in cui manca il rispetto fondamentale delle posizioni altrui». Per lei siamo davanti ad un potenziale caso di eutanasia? «La sentenza della Corte di Cassazione di fatto porta all'uccisione di questa ragazza. Capisco che il linguaggio è crudo, ma è così. Eluana non è come il caso Welby, non è attaccata a nessuna macchina, non c'è nessun polmome a farla respirare, e viene quotidianamente assistita dall'amore di persone che le stanno accanto. Eluana è ancora una ragazza in vita, il coma è una forma di vita e nessuno può permettersi di porre fine a una vita personale». Il Parlamento sta lavorando da mesi sulla legge di fine vita, ma i contrasti continuano. Non pensa che questo inciderà sul risultato finale? «Sul tavolo ci sono questioni sulle quali è fondamentale avere una sensibilità particolare, soprattutto una sensibilità etica. Mi auguro che su temi come questi i parlamentari offrano la loro massima responsabilità, giungendo ad una convergenza il più possibile allargata». Quanto serve in Italia una legislazione sul fine vita? «Vede, la posizione della Chiesa è di un profondo realismo. Fino a qualche mease fa le proposte di legge sul testamento biologico ci vedevano attenti nel dover rifiutare qualsiasi forma di autodeterminazione. Ora però si è creata in Italia una situazione nuova, con una sentenza dei giudici della Cassazione fatta proprio in mancanza di una legge. Ci vuole tanto realismo, i fondamentalismi non servono». Un mese fa Benedetto XVI ha parlato della necessità di avere una nuova classe politica tra i cattolici. Da cappellano di Montecitorio, che cos'è che manca a questa classe politica? «Il Papa ha una visione talmente ampia, che ingloba non solo l'Italia ma tutto il mondo. Questo impone, in alcuni momenti, di osservare come ci sia un'esigenza generalizzata di un cambio di mentalità». Cosa intende? «Intendo dire che viviamo in un momento in cui risulta sempre più difficile arrivare a delle riforme partecipate e condivise. Le faccio un esempio: non si riesce a toccare con mano quella che è la necessità di dare un futuro ai giovani. Basti pensare al problema della scuola o del lavoro. Servono persone che abbiano la volontà ma anche le capacità di progettare il passaggio e traghettare verso il futuro». E queste persone attualmente in Parlamento non ci sono? «Conoscendo molti politici io mi sento di spezzare una lancia nei loro confronti. Il più delle volte noi non conosciamo la vita dei parlamentari: c'è per esempio una grande presenza di giovani fortemente motivati nel loro impegno di rappresentanza pubblica». Magdi Allam sostiene che il problema non è tanto dell'individuo. È quando poi si mettono in gruppo... «Non ritengo giusto per il nostro Paese denigrare la classe politica o la classe dirigente. Viviamo in una condizione generalizzata di perdita di fiducia nelle istituzioni. Ma senza istituzioni noi non possiamo vivere, non ci sarebbe più il senso di appartenenza, il senso dello Stato». Più di una volta lei ha parlato di mancanza di luoghi di formazione della politica. «È vero, mancano i luoghi e mancano i movimenti giovanili nei partiti. In questi 20-30 anni ho verificato personalmente il ricordo della partecipazione dei giovani alla vita politica. Questo vuoto per me è un segnale molto preoccupante». Qual è il giusto identikit dell'uomo cattolico impegnato in Parlamento? «Non credo debba essere diverso da quello di una partecipazione alla vita politica di tanti altri. La differenza sta nella motivazione. Il parlamantare che da cattolico si impegna in politica, deve sentirlo come una vocazione. Se viene meno questa dimensione viene meno il senso della sua presenza». Don Rino sa che due ministri stanno lavorando ad una proposta sulle coppie di fatto, ex Dico ora Didore? «Non mi sembra che in questo momento ci siano dei testi sui quali poter esprimere un guidizio. Nel momento in cui dovessero esserci, non avrò timore, oggi come in passato, di far sentire la mia voce». Dal suo punto di vista il federalismo fiscale agevola o danneggia le regioni in difficoltà? «La premessa è: lo Stato non può abbandonare i più deboli. Dopodichè, noi dobbiamo però recuperare un concetto fondamentale: la fiscalità è data come senso di responsabilità di partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, ma questo perché la vita pubblica si interessi dei cittadini. Non possiamo continuare a verificare un divario tra il nord e il sud solo perchè c'è il timore di un investimento nel Mezzogiorno, per questioni più o meno congenite di illegalità o per mancanza di coraggio da parte dell'imprenditoria». Lei fu uno dei protagonisti della visita di Giovanni Paolo II alla Camera. Che ricordo ne ha? (Fa una pausa prima di rispondere e dal suo sguardo traspare commozione) - «Ho ancora davanti agli occhi la visita di Giovanni Paolo II a Montecitorio. Ricordo il grande desiderio e il grande affetto con cui tutto il Parlamento voleva accogliere il Papa e ricordo l'intensità con cui questa visita si è sviluppata. Non potrò mai dimenticare l'attenzione profonda che tutti i parlamentari, di qualsiasi schieramento, hanno avuto nei confronti del discorso di Giovanni Paolo II. Un discorso che poi ha avuto seguito nell'attività parlamentare». Pensa che Benedetto XVI, farà lo stesso? «Intanto Benedetto XVI il 4 di ottobre, giorno di San Francesco, patrono d'Italia, è stato al Quirinale e ha restituito al visita al capo dello Stato. Credo sia stato già questo un segno di grande attenzione del Papa. Sul resto, si vedrà». Nell'ultima visita di Benedetto XVI al presidente francese Sarkozy, più volte è venuta fuori la "sana laicità". Un concetto di cui a volte oggi si fa un uso improprio. Qual è il vero significato? «Quello di laicità positiva. Una laicità che non esclude, che sa ascoltare che non si rinchiude in schemi preconcetti, ma che sa verificare anche il valore aggiunto che dà, ad esempio, la religione cattolica. Senza con questo nulla togliere all'apporto che proviene da altri credenti e da altre presenze religiose nel nostro paese». Veniamo ad una sua iniziativa, divenuta un appuntamento ormai fisso: il viaggio in Terra Santa con i parlamentari. (Sorride e corregge) - «Lei lo chiama viaggio e fa bene. Io invece lo chiamo pellegrinaggio, perché è un pellegrinaggio a tutti gli effetti. Personalmente sono molto contento. Quello di quest'anno era il quinto pellegrinaggio che facevamo: c'è stato un notevole incremento di presenze, assolutamente bipartisan». Qualcuno le ha proposto di farne anche un altro? «Mi hanno chiesto di organizzarne uno entro la fine dell'anno a Lourdes, per i suoi i 150 anni. Vedremo se sarà possibile e fattibile». Come sta andando il sinodo in Vaticano? «Molto bene. È un'esperienza importante. Oltre 250, tra vescovi e cardinali, riuniti in un confronto sulle diverse problematiche delle comunità cristiane sparse nel mondo. Tra l'altro, in queste occasioni, si può constatare come i problemi dei cristiani, anche se provenienti da diversi paesi, sono simili in tutto il mondo». Si è chiusa ieri la lunga diretta tv della lettura della Bibbia. Lei è stato uno degli ultimi a leggere un passo. «Esatto. Ho letto la II lettera a Timoteo, un passo a cui sono particolarmente affezionato. Questo brano contiene le ultime parole dell'apostolo, e rende manifesto il coraggio e la speranza con le quali affronta la morte». È vero che prese per mano Oriana Fallaci nell'ultimo percorso di vita, quello più difficile, quello segnato dalla malattia e dall'isolamento? «Dall'agosto del 2005 al settembre 2006, quando è morta, il nostro è stato un incontro quotidiano. Ci sentivamo ogni giorno, anche con tre o quattro telefonate. Lei aveva letto una mia intervista sul Corriere della sera e subito dopo mi scrisse una lettera. È stata la prima di una lunga serie, e sono molto geloso di queste missive». Missive che lei vorrebbe raccogliere in un libro, o sbaglio? «È un mio grande desiderio e ci sto lavorando...»

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