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"Vi racconto la mia amica Eluana"

Eluana Englaro con la madre Marina

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Non è facile tracciare un ricordo di Eluana Englaro, in un momento in cui le emozioni devono confrontarsi quotidianamente con la fredda razionalità della sitazione.  O quando il bel ricordo di una collega d'università deve fare i conti con la dura realtà di una ragazza che da 16 anni vive in coma vegetativo. Il caso di Eluana è ormai da mesi al centro di dibattiti, etici, parlamentari, giuridici, sociali, medici. Questa però non vuole essere l'occasione per entrare nel merito della questione, prendere parte e stabilire chi ha torto e chi ha ragione. Vuole essere semplicemente un breve racconto di chi era Eluana prima del 18 gennaio 1992, giorno in cui, tornando a casa dopo un sabato sera passato con gli amici in discoteca, si schiantò contro un albero non svegliandosi più. Chi vi scrive ha conosciuto Eluana all'università Cattolica di Milano. Anno 1991, entrambe matricole della facoltà di Lingue e Letterature Straniere. Alta, magra, capelli castani e lunghi. La prima volta che la incontrai era davanti la bacheca della facoltà, in cerca di orari e aule delle lezioni. Era spaesata ma contenta. Griffata dalla testa ai piedi con maglia Moschino e borsa Louis Vuitton: «La classica modaiola», pensai. Ricordo che mi colpì da subito per la sua allegria. Mi disse che era di Lecco e che tutte le mattine prendeva il treno per venire all'università. Mi raccontò anche che l'anno prima si era iscritta alla facoltà di Giurisprudenza, «ma non era per me - disse -. Capii subito di aver fatto un errore. Volevo studiare le lingue». Inglese e tedesco, quelle scelte. Insieme ad altre due ragazze, Sabrina e Laura, diventammo il classico gruppetto di amiche d'Ateneo: si andava insieme a lezione, qualche volta a mangiare a mensa. Eluana aveva scelto l'indirizzo di facoltà "turistico manageriale" ed avrebbe voluto girare il mondo. Fin da piccola, essendo figlia unica, aveva viaggiato spesso con i suoi genitori e questo le dava un'aria molto adulta, di chi comunque ne aveva viste tante. La sera dell'incidente Eluana era a casa da sola: i suoi genitori erano in montagna. Voleva uscire ma allo stesso tempo non voleva far preoccupare i suoi: motivo per cui decise di staccare il telefono e di non dire niente. Al momento dello schianto, a pochi metri di distanza, c'era un suo amico: fu lui, catapultandosi fuori dalla macchina, a dare l'allarme e a chiamare i soccorsi. Fu sempre lui a raccontarci, scioccato, che quando si avvicinò ad Elu pensò che fosse semplicemente svenuta: «Non aveva una ferita, non c'era sangue, non un ematoma». La portarono subito in ospedale. Da lì cominciò il calvario. Quando la vidi attraverso il vetro della terapia d'Urgenza sembrava stesse dormendo. Dopo poco tempo venne trasporata alla rianimazione di Sondrio, dove Eluana rimase per circa un anno. Fu in questo reparto, che con tutte le altre amiche facevamo i turni per stare un po' con lei, tentandole tutte per farla risvegliare. Qualcuno portò un cd di Claudio Baglioni, uno i suoi cantanti preferiti. Sabrina le portò una cassetta con il rumore del mare, che lei amava tanto. Ma niente. L'ultima volta che l'ho vista, qualche anno fa, aveva i capelli corti, distesa sul letto, con suor Rosangela accanto. La sua stanza era piena di foto, peluche e di biancheria, acquistata da mamma Saturnia anche nel corso di questi anni: una mamma distrutta dal dolore, rimasta sempre in disparte, e ora anche ammalata di cancro. Sull'epilogo di questa storia ancora regna l'incertezza. Una cosa però, per chi l'ha conosciuta è invece chiara. Di certo non avrebbe voluto essere al centro di tutte queste polemiche. Era così pudica e riservata, anche con le sue amiche. Spesso ci chiediamo ancora oggi: «Chissà cosa avrebbe detto se fosse toccato ad una di noi».

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