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La rivincita dell'«antipatico» Tremonti

Tremonti

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{{IMG_SX}}Una scarna biografia del ministro dell'Economia, una sua foto, un link a www.wberlusconi.com e un banner lampeggiante con la scritta in inglese «Giulio è meglio di Quintino» (Sella ndr). L'iniziativa risale al 2004, «hannus horribilis» della storia tremontiana. Quando Giulio, dopo circa mille giorni, fu costretto a lasciare via XX Settembre. Troppi litigi, troppi nemici. In primis gli alleati di Alleanza nazionale che, con Gianfranco Fini e Gianni Alemanno, avevano chiesto per circa un anno di poter condividere le scelte di politica economica arrivando fino a paventare la crisi di governo. Poi, nell'ordine, ecco arrivare la battaglia con l'allora numero uno di Bankitalia Antonio Fazio. Una battaglia che si estese presto all'intero mondo bancario che mal digeriva la riorganizzazione dell'attività del credito e dei controlli su di essa pensata dal ministro. Tanto che, in quegli anni, Tremonti ebbe pessimi rapporti con i big della finanza, a cominciare da Alessandro Profumo e Corrado Passera che oggi lo «osannano». Scontata, invece, l'opposizione del centrosinistra che, dopo il quinquennio 1996-2001 era stato accusato da Tremonti, di aver lasciato un enorme buco nei conti pubblici. Probabilmente meno scontata quella di Fondazioni, enti locali e Commissione europea. Insomma per tre anni Tremonti è stato una sorta di «nemico pubblico numero uno». Una spina nel fianco per Silvio Berlusconi che pure aveva molto investito sulla sua «finanza creativa» e sull'asse che legava il ministro dell'Economia alla Lega. Sono solo quattro anni fa, ma sembrano un secolo. Oggi Tremonti non è più «l'antipatico» che siede a via XX Settembre. Non è più quello che per An sbagliava le stime sulle entrate legate a condoni e concordati. Oggi il ministro dell'Economia è una sorta di «supereroe». Il suo libro «La paura e la speranza» è un bestseller anche perché ha annunciato, in tempi non sospetti, la fine dell'«età dell'oro». La sua Finanziaria snella anticipata a luglio è un passo storico per il nostro Paese che, per la prima volta, non dovrà assistere al «suk arabo» che accompagnava qualsiasi discussione sulla Manovra. Ha imposto alle banche, e non solo, la Robin tax, conquistando gli applausi dei risparmiatori. Ora fa varare al governo un piano di interventi straordinari per fronteggiare la crisi dei mercati finanziari. Un piano che di fatto garantisce gli istituti di credito italiani dal rischio fallimento. Ieri si è addirittura scagliato contro l'emendamento «salva-manager» inserito silenziosamente all'interno del decreto Alitalia. «O va via l'emendamento, o va via il ministro dell'Economia» ha urlato nell'Aula di Montecitorio. Anche questo, in fondo, è un segno dei tempi. Quattro anni fa, forse, sarebbe saltato lui, oggi salta il codicillo. Ma non finisce qui. Tremonti è anche il ministro che, assieme alla Lega, ha portato a casa il federalismo fiscale. E in Europa stanno studiando la sua idea di utilizzare la Banca europea degli investimenti (Bei) per finanziare grandi lavori infrastrutturali. Inoltre il 5 per mille, misura fiscale che il ministro introdusse in via sperimentale sul finire della scorsa esperienza governativa, è un successo che centrodestra e centrosinistra fanno a gara per difendere. Così, tra un dialogo con Massimo D'Alema sulla religione e una citazione su Marx, il ministro dell'Economia studia da vero leader. E chissà che il Pdl non si faccia tentare dal suo «divo Giulio».

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