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Questa sera al San Raffaele di Milano Giulio Tremonti avrà ...

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E' questo il suo obiettivo già dalla campagna elettorale, quindi già da prima di avviare la sua terza esperienza di governo. La sfida alla speculazione finanziaria in nome degli interessi delle famiglie e, sul piano intellettuale, la volontà di non pagare dazio sempre e comunque al pensiero unico degli economisti ne fanno un personaggio originale e capace di rovesciare i punti di vista normalmente accettati. E' un processo cominciato prendendo le distanze dal suo passato, fortemente connotato, di esperto tributarista; periodo, per altro, fatto di grandi successi. Un processo proseguito cercando di distaccarsi anche dall'etichetta di tecnico (per quanto omaggiato di genialità, che diventa spregiudicatezza per chi non lo ama). O meglio: non è puramente una presa di distanza ma un tentativo di sfumare quelle radici intellettuali e professionali dentro a una personalità politica nuova, è un passaggio del tentativo di costruire un carattere politico. Questa è l'esperienza fondamentale nella vita di un uomo pubblico ed è quella che resta più facilmente nella memoria altrui e nella storia. Quando questo processo è in sintonia con l'evolversi del sentire politico e quando è machiavellicamente accompagnato dalla fortuna diventa anche esaltante. Ma non corriamo troppo. C'è tempo davanti, e davvero non esistono né potrebbero esistere modi per rendere quel tempo più breve. Guardiamo, invece, a cosa è e a cosa rappresenta politicamente Tremonti oggi, anche per capire ciò che forse ancora manca per poter dire davvero avviato il processo che gli auguriamo esaltante appena accennato. E' un ministro un po' più ministro degli altri. Perché tiene in mano saldamente, anche grazie a modifiche della gestione del bilancio e della prassi parlamentare, i rubinetti dei finanziamenti. In sostanza può influenzare in modo concreto anche le scelte dei suoi colleghi. Non lo farà mai in modo plateale o invadente, ché non sarebbe una scelta saggia, ma la semplice detenzione di questo potere potenziale lo trasforma, gli dà spessore e peso all'interno del governo. Ecco, uno dei problemi che ora ha davanti è il trasferimento di questa sostanza politica (fatta appunto di peso e di spessore) dal sistema chiuso della maggioranza parlamentare e dai rapporti di potere all'interno del governo alla parte di società che si riconosce nel centrodestra. Deve mettere radici, sue, e non semplicemente come efficacissimo mediatore tra Forza Italia e Lega in nome della rappresentanza del lavoro autonomo, del dinamismo delle piccole imprese (il popolo delle partite Iva). Non comincia da una situazione facile, perché è tuttora impigliato in una specie di a-temporalità e a-spazialità. Spieghiamoci meglio. Tremonti viene da un primo schieramento, foriero di importanti posizionamenti nel dibattito pubblico degli anni ottanta, nell'area dei tecnici filosocialisti, poi passa per il Patto Segni e per l'esperimento di creare dall'alto e un po' per incanto la rappresentanza della borghesia italiana, infine arriva a Forza Italia e ne diventa il tutore della politica economica. Capisce i leghisti e si capisce con essi e con altre parti della nuova politica nordista. Ma, tutto questo curriculum, per quanto dotato di una sua linearità, è come accantonato, come sospeso, dal Tremonti di oggi. Perfino nell'espressione della faccia (se permettete questa notazione) c'è qualcosa di a-temporale, un po' da eterno ragazzo. E manca anche la dimensione spaziale. Perché il Tremonti mediatore con i leghisti e quindi nordista non dà un'immagine completa. C'è anche il ministro che si batte per la Banca del Sud. E il politico che aspira a rappresentare più della metà dell'elettorato. Troppe ambizioni se non si dispone di una base di partenza, di una riconoscibilità fatta anche di radicamento geografico. Non sono le litigate un po' posticce nel teatrino di Ballarò a definire un carattere politico. Quella per Tremonti è una stagione passata, forse adatta al ruolo di oppositore. Ora ha scelto di definirsi con la visione generale della politica economica. E' incappato in una contingenza storica ed economica eccezionale e ha capito che deve cavalcarla. Dicevamo che non paga dazio al pensiero unico degli economisti. Si potrebbe aggiungere che proprio non li ama. Non è mai stato uno di loro e si diverte a dileggiarli come abilissimi creatori di razionalizzazioni a posteriori: tutta roba buona per spiegare dove si era sbagliato in passato, ma inservibile per non sbagliare in futuro. Alla politica economica porta uno sguardo libero da complessi, e se vede che il prezzo del petrolio e di altre materie prime fondamentali (come quelle alimentari) in un anno raddoppia non può accettare il mantra della domanda e dell'offerta e della libera definizione dei prezzi. Guarda a tutto ciò senza complessi e senza schemi precostituiti e non può che dedurne che ci sono distorsioni nel funzionamento del mercato. Guarda alla successione di bolle finanziarie da un settore all'altro, prima azionario, poi immobiliare e poi delle materie prime, e non può che incolpare le mani forti dei mercati di aver prodotto (altro che domanda e offerta) una tendenza artefatta e utile solo a loro verso il rialzo parossistico dei prezzi. E da questa analisi, partendo da un impianto culturale che è anche da giurista, non può che passare a chiedere l'intervento delle autorità pubbliche di regolazione del mercato. Non ha remore e si spinge tranquillamente a criticare la Banca d'Italia per l'eccessiva prudenza delle analisi. E di scrupoli se ne fa talmente pochi (perché non appartiene a quella cordata) da rivolgere le sue critiche anche al potere delle grandi banche d'affari multinazionali e delle istituzioni finanziarie che fanno i prezzi (tramite il meccanismo delle aspettative) sui mercati internazionali. E' distante da quelle istituzioni (e potete immaginare quanto ciò costi e sia difficile) ma non è ancora pienamente credibile come politico popolare. Al debutto del governo è riuscito nel buon colpo dell'anticipo della manovra economica. La ha sottratta dall'assalto parlamentare e ne ha fissato gli obiettivi a tre anni. Ha subito mantenuto la parola sulla cancellazione dell'Ici sulla prima casa e sulla copertura del taglio fiscale a vantaggio dei lavoratori per straordinari e premi di produzione. Ma, evitando improbabili miracoli fiscali di inizio legislatura, ha accompagnato tutto ciò con l'aumento della base imponibile e dell'aliquota fondamentale a carico di banche, assicurazioni e petrolieri (i settori dove erano stati realizzati, non grazie a miglioramenti di prodotto ma solo a causa di tendenze esogene, gli utili più ingenti). Il maggior gettito andrà a finanziare interventi per le fasce più deboli della popolazione, anche attraverso la distribuzione di una carta per acquisti alimentari e di servizi essenziali. Tutto molto lineare e conseguente, secondo gli schemi mentali che piacciono al ministro. Le critiche sono suonate un po' cavillose, con l'evocazione di traslazione dalla tassazione sui prezzi e quindi sui clienti. Facile rispondere che gli unici a non poter traslare allora sarebbero i dipendenti a basso reddito e quindi la sinistra proporrebbe di tassare solo gli operai e non le aziende più ricche. Facile rispondere così, e anche fondato, ma farsi ascoltare e capire dai giornali è difficile. E sarà sempre più difficile via via che la formazione del nuovo carattere politico andrà avanti e conquisterà spazio.

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