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Walter si tolga dalla morsa delle toghe rosse

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C'è voluta una manifestazione di livore verso la democrazia come quella organizzata da Antonio Di Pietro, il caudillo giudiziario che invade la scena politica dal 1992 per portare il leader del Pd Veltroni a rompere la recente alleanza elettorale con l'Italia dei valori, un alleanza che viene da lontano, dal momento in cui il Pds offrì a Di Pietro oltre dieci anni fa la strada maestra per entrare in Parlamento, quel seggio senatoriale del Mugello dove l'ex-partito comunista avrebbe potuto eleggere anche un nipotino di Hitler. I due fatti approvazione del lodo Alfano e rottura tra il Pd e Di Pietro potrebbero rilanciare la possibilità che questa legislatura, nata con una profonda auto riforma del sistema politico, possa anche essere la legislatura in cui costituire, finalmente, una Seconda Repubblica. Una possibilità che ieri, pur nascosta nella obbligata propaganda degli interventi di D'Alema e Veltroni, si è intravista nell'atteggiamento non ostruzionistico e barricadiero dell'opposizione. Nei giorni scorsi Angelo Panebianco sul Corriere della Sera ha sostenuto la necessità di una profonda riforma della giustizia da affrontare secondo «la via maestra della revisione costituzionale: abolire l'obbligatorietà dell'azione penale (foglia di fico che nasconde l'assoluta discrezionalità dei pubblici ministeri) lasciando per conseguenza, come si fa in tante democrazie, che sia il Parlamento, su proposta del Guardasigilli, a dettare, di volta in volta, le priorità alla magistratura». Oltre a questo la riforma dovrebbe comprendere «lo scudo per le alte cariche, la separazione delle carriere, e una riforma del Csm che lo sottragga alla lottizzazione correntizia; la ridefinizione dei compiti rispettivi dei pubblici ministeri e della polizia nelle inchieste, la riorganizzazione degli uffici che ponga fine alla piaga della giustizia lenta». Per ottenere questo risultato, Panebianco indica la necessità: di «un accordo con l'opposizione che richiederebbe da parte di quest'ultima il riconoscimento della anomalia di un sistema giudiziario fondato sull'unità delle carriere e sull'onnipotenza del pubblico ministero. E una disponibilità a resistere alle pressioni delle lobby dei magistrati». Ecco il punto. È in grado il Pd di emanciparsi dalla morsa del partito dei pm, dalle toghe rosse e dalla tentazione della via giudiziaria alla conquista del potere che ha costituito la principale strategia della sinistra dal 1992? La rottura con Di Pietro è solo l'inizio di un percorso riformista.

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