Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

«Il Paese non ha ancora chiuso tutti i conti»

Esplora:
default_image

  • a
  • a
  • a

Ha le idee chiare Vincenzo Scotti, ministro del Lavoro democristiano, insediatosi nel governo Andreotti nel 1978, poco prima del sequestro Moro. Passato, poi, a dirigere il gruppo parlamentare della Dc ricoprì la carica di ministro dell'Interno dal '90 al '92. Il suo solco politico è ancora preciso e denso di analisi lucide che portano al ragionamento ancor prima del giudizio sulla decisione di ieri. Onorevole Scotti, come dovrebbe comportarsi la «politica» dinanzi alla decisione di scarcerare una brigatista protagonista nel 1978 all'interno del commando che sequestrò Aldo Moro e trucidò la sua scorta? «Noi non possiamo liquidare semplicisticamente la questione né chiedere all'improvviso comprensione a famiglie che si sentono ancora in credito nei confronti del Paese, della società italiana. La politica dovrebbe in questo momento tacere: ovvero, nel rispetto di un dolore ancora vivo, non assumere una posizione di schieramento ma chiedere soltanto alla magistratura di fare il suo compito fino in fondo». Ovviamente, però, la politica non può esimersi dalle proprie responsabilità: qual è la principale rispetto all'arcipelago del terrorismo di quegli anni? «Il Paese non ha fatto sino in fondo i conti con la propria storia. L'attenta ricostruzione di quegli anni realizzata in televisione nei giorni scorsi da Claudio Martelli ha posto in evidenza come manifesti firmati da autorevoli intellettuali della sinistra fossero permeati all'epoca di debolezza quasi giustificazionista nei confronti dell'emergente fenomeno brigatista». Ma quale è stata la paura vera del terrorismo in Italia? «Certamente quella legata al reale obiettivo politico indicato dai "cattivi maestri" delle Brigate Rosse: far saltare il sistema democratico del Paese annientando, con l'eliminazione fisica dei suoi esponenti di spicco, la Democrazia Cristiana, considerata il partito-perno del sistema capitalistico americano». In tal senso la sinistra che ha visto l'esplosione degli «anni di piombo» va condannata in blocco? «No, in modo assoluto. In quegli anni una parte della sinistra assecondava a vario titolo i "cattivi maestri" di quell'ideologia rivoluzionaria mentre ce n'era un'altra considerata "nemica" dai brigatisti stessi. L'accusa rivolta dagli ideologi delle Br alla Dc era quella di aver creato un anti-Stato con tutto ciò che ne conseguì nella impossibile lettura di teorie legate allo "stato parallelo", al centro per anni delle indagini della Commissione stragi. Ecco, la sinistra dei sindacati, ricordo Lama in primis, fece muro contro le tentazioni rivoluzionarie e, probabilmente, al di là dell'esistenza di cellule eversive all'interno delle fabbriche, fu proprio nella catena di montaggio che le Br persero la loro battaglia, non trovando il coinvolgimento rivoluzionario della massa operaia». Oggi come si può commentare in chiave storico-politica la liberazione della cinquantasettenne Balzerani? «Siamo saltati dagli "anni di piombo" ai giorni nostri senza che nel Paese si sia chiusa veramente la ferita del terrorismo e ci sia stata una presa di coscienza di quello che il terrorismo è stato: come dire, non si è arrivati a un punto di verità. Se pensiamo al sequestro Moro, tutte le interpretazioni sono state indirizzate verso responsabilità politiche all'interno del Palazzo del governo, quasi mai in sostanza chiamando in causa diretta le Brigate Rosse. Insomma, è stata una lettura strumentale a disegni politici particolari. Il problema sta nel ritorno continuo di una ferita che si riapre proprio perché non è stata mai chiusa, in un'acettazione condivisa nel giudizio su quel tempo e, quindi, su un Paese realmente pacificato». Parlando di fatti recenti la condanna della Allioce ci fa pensa

Dai blog