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Ora la grande scommessa è la rete fissa

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I tentativi di buttarsi in questo settore finora non hanno avuto successo. Ma il mercato ora ci crede

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Staremo a vedere, evitando le facili ironie su due strategie contrapposte presentate come soluzione ideale nel giro di due anni. Quando si lavora su mercati così complessi è più importante sapersi adattare ai cambiamenti e quindi anche saper smontare un piano, nel quale pure si credeva, per far posto a nuovi tentativi. Certo, sempre di tentativo si tratta. Non c'è niente di certo in nessun business, figuriamoci in un terreno evanescente come quello dei media (intesi come tutto ciò che può interessare chi ha un video da guadare, quindi dall'informazione al cinema, dalla musica all'interattività). Questa volta si punta sulla separazione dell'avventura dei telefonini dal resto delle telecomunicazioni. L'idea è che i cellulari, con l'Italia campione del mondo per densità di utenti, sono ormai diventati, in pochi anni, un mercato maturo, dal quale insomma non ci si possono attendere più sorprese. Un mercato certamente interessante e ricco, ma sempre più competitivo. Chi investe nelle aziende e chi le finanzia guarda più alle prospettive di crescita delle aziende che alla situazione attuale. E secondo l'interpretazione che ora va per la maggiore (ma che potrebbe cambiare, anche solo grazie a qualche innovazione tecnologica in grado di rendere veramente comodo l'internet sui cellulari), nella telefonia mobile di prospettive non ce ne sono più molte. Il piano di Marco Tronchetti-Provera, approvato all'unanimità dagli azionisti (anche da quelli che non si dichiaravano tanto contenti dell'investimento fatto), comporta invece una scommessa sulla valorizzazione di quello che sembrava il settore più arretrato del suo gruppo: la rete fissa, in sostanza la vecchia rete dei telefoni di casa resa più veloce e efficiente dalla tecnologia della banda larga (che può trasportare, in due direzioni, televisione, internet e voce). Questa è la parte del gruppo che Tronchetti si vuole tenere certamente. La separazione dai cellulari, invece, potrebbe diventare un divorzio definitivo, con la vendita (per ora smentita, ma non esclusa) della Tim. Si sa che la cessione della società dei telefonini sistemerebbe i conti, azzerando sostanzialmente l'indebitamento che ora arriva a 40 miliardi, più di una manovra finanziaria. Ma allo stesso tempo aprirebbe un problema politico, perché non sarebbe facile trovare gli acquirenti tra gli imprenditori italiani e la possibilità di un'offerta dall'estero a cui non si potrebbe dire di "no" sarebbe molto concreta, con il risultato di avere tutte le bollette di telefonia mobile (passione nazionale) destinate verso tasche estere (Vodafone è inglese, Wind è di un imprenditore egiziano). Tronchetti insomma sarebbe pronto a questa mossa impopolare per puntare tutto sulla rete telefonica fissa e sui contenuti vendibili attraverso di essa. Con la banda larga, e le possibilità che offre, forse è la volta buona. Perché finora i tentativi di buttarsi in business simili non sono stati travolgenti. I pionieri di Fastweb, che la rete se la costruirono per conto loro, sopravvivono ma non hanno sfondato. E lo stesso vale per altre aziende con la stessa strategia e gli stessi prodotti. Ma i mercati maturano in modo discontinuo. Detto più semplicemente: finora la tv e il resto via internet e linee telefoniche non hanno sfondato, adesso magari arriva il boom e se arriva si fanno affari seri. D'altra parte anche il più forte editore del mondo, Rupert Murdoch, finora diffidente di questo business (e non si può dire che non si intenda di televisione) ha deciso di buttarcisi, acquistando a peso d'oro negli Stati Uniti una società che serve proprio a entrare in quel mercato. Con Tronchetti lui avrebbe un accordo per fornire i famosi contenuti. L'impresa italiana, insomma, sta giocando una allettante

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