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Quante scuse per non dire che lottizzano

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Sembra questo il motto che sta girando da giorni dentro l'Unione, ed esattamente da quando Massimo D'Alema, ministro degli esteri, ha deciso di lanciare l'assalto alla diligenza Rai. Un attacco studiato in previsione del Cda Rai e che avrebbe dovuto dare sfogo agli appetiti di nomine del centrosinistra. Ma lo stop arrivato due giorni fa dal consiglio ha fatto saltare i piani e ora l'Unione ha deciso di cambiare tattica. Dichiarazioni distensive, proclamare buone intenzioni, parlare di rilancio dell'azienda e puntare sulla qualità della Tv di Stato. Poi, quando tutti l'avranno bevuta, mettere mano alla seconda fase e occupare tutti i posti. E così da giorni si assiste ad un flusso quasi incessante di dichirazioni che provengono da tutti gli anfratti del centrosinistra. Tra i primi ad adattarsi alla nuova strategia il ministro Di Pietro. Festa dell'Uder a Telese, 2 settembre, il capo di Italia dei Valori lancia il suo avvertimento per «una Rai libera e indipendente, dove la professionalità venga valutata sulla base del curriculum e non sulla base dell'appartenenza a questo oppure a quel partito soprattutto non vogliamo nicchie e nicchiette, chiese e chiesette, dove si mettono i propri amici per portare avanti un'informazione di parte». Passa solo un giorno e scende in campo Mastella sempre da Telese. Il leader del Campanile non ci sta a rimanere fuori gioco e cerca di infondere serenità: «Non si può fare piazza pulita, non si può fare che quelli messi dagli altri, ora li mandiamo negli scantinati». Altro giorno, altra dichiarazione. Certo niente scantinanti, come vorrà Mastella, ma Angelo Bonelli, capogruppo dei Verdi alla Camera, ci tiene a precisare che «sulla gestione della Rai serve un cambiamento vero e rapido, altrimenti si apre un problema politico serio all'interno dell'Unione». L'ammissione di un progetto "unionista" di spartizione delle poltrone? Macchè. Per Bonelli «il rilancio della maggiore azienda culturale del Paese è una priorità di democrazia». Ma nell'Udeur la voglia di poltrone è forte e Mauro Fabris, capogruppo dell'Udeur a Palazzo Madama, lo stesso giorno si tradisce: «Noi riteniamo che su un settore così delicato, come quello dell'informazione pubblica, sia necessaria una pluralità di voci che tenga conto di tutte le aree culturali e politiche del Paese». Parole sante, tranne se Fabris non concludesse il discorso chiedendo «che su un argomento così delicato si debba discutere in un apposito vertice di maggioranza». A correggere il tiro però ci pensa Natale Ripamonti, senatore dei Verdi, che precisa, il 5 settembre, che «le eventuali nomine dovranno garantire elevata professionalità, pluralismo e l'indicazione di un progetto alto di cambiamento del sistema informativo del nostro Paese». Si arriva al 6 settembre e Pino Sgobio, capogruppo del Pdci al Senato conferma che per l'Unione è «prioritario ragionare seriamente sulla qualità dei programmi, su una televisione di Stato che premi la qualità e non la quantità degli ascolti». Gli fa eco lo stesso giorno il segretario del Prc Giordano: «Nel rinnovo degli organismi della Rai si tenga conto dei curricula delle persone e dei loro programmi. Non si proceda né a lottizzazioni, né ad operazioni di spoil system, si valorizzi però il pluralismo». Poche ore e Fabrizio Morri, responsabile dell'informazione Ds, quasi giura solenne che «noi non faremo lottizzazioni. Noi chiediamo che chi ne ha la responsabilità (cda e direttore generale) possa avviare una stagione nuova nella vita del servizio pubblico, mettendo a dirigere reti e testate professionisti non indicati da Berlusconi o da chicchessia, ma gente capace di restituire all'azienda autonomia, pluralismo, professionalità». È d'accordo anche Massimo Donadi, capogruppo alla Camera per Italia dei Valori. Per lui «l'occupazione partitocratrica della Rai non è più accettabile ed è un danno enorme per le molte ed importanti professionalità che esistono all'interno dell'azienda, soprattutto per quelle che non si piegano alla logica di appartenenza part

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