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di LUIGI FRASCA ANCORA sotto torchio Marco Mancini, il numero due del Sismi arrestato mercoledì scorso ...

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Dopo il lungo interrogatorio di ieri pomeriggio nel carcere di San Vittore, ieri mattina è stato di nuovo convocato dal procuratore aggiunto Armando Spataro e dal collega Ferdinando Pomarici, titolari dell'inchiesta sul sequestro dell'imam egiziano. Inchiesta che ha provocato un terremoto all'interno degli apparati dell'intelligence e che è destinata ad allargarsi con il coinvolgimento di altri personaggi di spicco: nei prossimi giorni sono previsti alcuni altri inviti a comparire. Mancini, arrivato al palazzo di Giustizia di Milano su un'auto della polizia penitenziaria, scortato da agenti, camicia bianca, giacca beige e occhiali Ray-ban, è entrato nell'ufficio di Spataro verso le 11.30. Poco prima erano giunti i suoi due difensori, gli avvocati Luca Lauri e Luigi Panella. Il nuovo interrogatorio, avvenuto su decisione dei due magistrati e a distanza di poche ore da quello di venerdì che si era concluso verso le 21, si spiegherebbe con il fatto che gli inquirenti vogliano, come si dice, «battere il ferro finchè è caldo». In sostanza, approfondire un discorso cominciato, nel quale Mancini avrebbe dato la sua versione dei fatti e iniziato a fornire dettagli, definire ruoli e probabilmente chiamare in causa altre persone. Circostanze sulle quali i pm, che anche oggi molto probabilmente proseguiranno la loro attività istruttoria, devono cercare e trovare riscontri. Accertare chi siano stati gli altri a conoscenza all'interno del Sismi: l'ordinanza di custodia cautelare fa capire che Mancini non partecipò da solo «al sequestro non ortodosso» di Abu Omar, organizzato dall'allora capo della Cia a Milano, Robert Seldon Lady. Con lui, oltre a Gustavo Pignero, all'epoca del rapimento responsabile dei Centri Sismi del Nord Italia e ora agli arresti domiciliari, ci sarebbe stato un gruppo di uomini di «fiducia», anche loro indagati: Gustavo Ciorra, braccio destro di Mancini (interrogato nei giorni scorsi), Lorenzo Pillinini, responsabile del Centro di Trieste, Marco Iodice, responsabile di quello di Padova (in una telefonata del 18 maggio a Mancini, ha ammesso che la Cia chiese al Sismi di partecipare al sequestro)e Maurizio Regondi, vice di Mancini durante il suo incarico a Milano. A quanto pare gli inquirenti stanno accertando l'esistenza di un dossier redatto dagli uomini del Sismi sulla anomala «estradizione» dell'imam che ritengono possa essere custodito in qualche sede dell'apparato di intelligence. Da chiarire saranno anche i rapporti di Mancini con personaggi come l'ex capo della sicurezza Telecom, Giuliano Tavaroli, e quelli così stretti con gli uomini della Cia al punto che si è anche attivato, recentemente, «per organizzare un periodo di ferie, a fine luglio, in un lussuoso hotel in Sardegna, al nuovo capo in Italia, Robert...(in atti identificato), il quale, a sua volta, pur dopo le dimissioni strategiche di Mancini, si preoccupa costantemente di inviargli i suoi saluti e tempestivamente lo informa della morte di Al Zarqawi». Del resto il rapporto Mancini-Cia traspare, dagli atti, come continuo: dalla sua offerta di fare l'agente doppio a quanto afferma Luciano Pironi (il maresciallo dei CC che ha ammesso la sua partecipazione al prelievo di Abu Omar) che, quando temeva per la sua pratica di ingresso al Sismi all'esame di Mancini stesso, ebbe rassicurazioni da Bob Lady che «con lui la Cia aveva grosse entrature». Gli interrogatori, in tutto oltre 10 ore di domande e risposte, anche se non è arrivata alcuna conferma a causa dello strettissimo riserbo calato sulla vicenda - che coinvolge anche il mondo giornalistico -, sono stati certamente secretati. Ora c'è da aspettare le prossime mosse della Procura e della difesa di Mancini. Non è escluso che possano essere chiesti per lui gli arresti domiciliari.

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