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di DARIO CASELLI LA tredicesima legislatura batte la quattordicesima 1651 a 997.

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Cifre che indicano che la legislatura uscita dalla vittoria ulivista e che è stata portata avanti da tre presidenti — Prodi, D'Alema e Amato — è risultata superiore per numero di atti normativi, cioè leggi, decreti legislativi, decreti legge e regolamenti di delegificazione a quella di Berlusconi. Detta così l'indagine potrebbe suonare come una bocciatura per la Casa delle Libertà ma il dato deve essere analizzato più in profondità. Infatti se è vero che l'Ulivo ha dimostrato una maggiore prolificità nel varare leggi dall'altro lato questo non significa che nel complesso gli atti varati siano migliori. Un po' come il vecchio proverbio che recita «la quantità non è qualità». E in effetti da una rapida analisi degli atti varati dal 1996 al 2001 dal centrosinistra emerge un dato: molti provvedimenti ma poche riforme di ampio respiro con una polverizzazione dell'attività legislativa. Il tutto frutto dell'assenza nella coalizione ulivista di un'unità programmatica essenziale per varare politiche di largo respiro. Da qui il ripiego su provvedimenti di breve periodo. Si spiegano così i tantissimi interventi, le 906 leggi rispetto alle 525 della Cdl, i 378 decreti legislativi dell'Ulivo che quasi doppiano i 207 del centrodestra. Ma anche sui decreti legge il successo dell'Ulivo è netto con 204 decreti a 180. Interessante anche il dato percentuale da cui risalta che nella scorsa legislatura il 54,9 per cento della produzione legislativa è stata occupata da leggi e il 22,9 da decreti legge. Per quanto riguarda la quattordicesima la cifra delle leggi scende al 52,7 per cento e i decreti legge si attestano al 20,8. Questi i dati, ma in concreto la produzione normativa è ben diversa. Infatti, se la Cdl può annoverare riforme ampie e complesse come quella della scuola, del lavoro e dell'ordinamento giudiziario, la riforma elettorale, la legge sul fumo, dall'Ulivo ci si limita a rispondere con interventi più ristretti e di limitati effetti, che non sono riusciti ad incidere nel profondi i singoli settori. Ad esempio la riforma della scuola varata dal centrodestra, la prima organica dopo 80 anni, ha ridisegnato completamente il settore scolastico con percorsi di studio personalizzati, formazione professionale, e innalzamento dell'obbligo scolastico a dodici anni. Più limitata il tenore della riforma ulivista che ha previsto l'innalzamento dell'obbligo scolastico solo a 9 nove anni ed incentivi per la diffusione informatica con 1 computer ogni 35 allievi. Invece nessun cenno sull'ampliamento dell'offerta didattica e sull'introduzione di nuovi corsi di insegnamento come l'informatica. Poi la riforma del lavoro. La Cdl schiera la riforma Biagi: maggiore tutela dei rapporti di lavoro resi così più stabili, introduzione di nuove tipologie contrattuali per conciliare con il lavoro con le esigenze di ciascuno e lancio della Borsa nazionale continua del lavoro per agevolare l'incontro tra domanda ed offerta occupazionale. Da qui i dati positivi con un aumento di 1 milione 270mila di lavoratori ed una riduzione di disoccupati di 439mila unità. Il «pacchetto Treu» che, anche se fu una sorta di precursore della Legge Biagi, non introdusse invece decisivi cambiamenti nel mondo del lavoro, né tentò di rapportarsi a questo con spirito di riforma. L'unica vera novità fu l'introduzione dei contratti di lavoro interinali, contestatissimi dalla sinistra radicale perché visti come un aumento della precarietà a danno della stabilità dei rapporti di lavoro. Altro punto quello dell'ordinamento giudiziario che la Cdl ha riformato in parte con la legge 150 del luglio del 2005: separazione delle carriere, formazione obbligatoria ogni cinque anni presso la Scuola Superiore della Magistratura e riserva del 30 per cento dei posti per avanzamento di carriera per merito. Il centrosinistra annovera invece l'introduzione del gi

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