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La Margherita diventa il partito dei poteri forti

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Un termine coniato quest'estate da Francesco Rutelli e dal gruppo dirigente della Margherita per condannare l'avallo dalemiano all'ambiziosa operazione finanziaria del neoindagato Giovanni Consorte, ma che intendeva additare lo storico e inscindibile legame tra i vertici diessini e il mondo cooperativo. Su questa analisi, Rutelli potè contare sulla totale identità di vedute con il Professore, che attaccò frontalmente il partito di Piero Fassino sul terreno versante della «nuova questione morale», nel quale impegnò pesantemente il fido Arturo Parisi, facendo breccia in quasi tutti i partiti dell'Unione, e nella stessa minoranza Ds, nella quale abbondando da mesi, in tutte le istanze del partito, mozioni e ordini del giorno sulle «relazioni pericolose con alcuni imprenditori». Una volta calmatesi le acque, l'accusa di «collateralismo» è stata rispolverata da Rutelli alla prima occasione utile. A questo punto, l'avvio di Finanziopoli non ha fatto altro che acuire e intensificare allo stesso tempo i toni della polemica, e l'accusa di collateralismo è stata respinta al mittente dagli uomini di via Nazionale. E in effetti, ripercorrere il «film» di questi ultimi mesi aiuta a far comprendere quanto pesantemente la polemica di Rutelli risenta del solido legame che la Margherita intrattiene con la parte più istituzionale del capitalismo italiano, riassumibile nel riconosciuto «feeling» tra i Dl e Confindustria. Un'identità di vedute non certo improvvisata, tanto da spingere il presidente di Viale dell'Astronomia, durante una vacanza a Porto Cervo che «nessuno si occupa più dei problemi reali, e parlo di tutto il mondo politico, salvo forse la Margherita». Due le tappe fondamentali: il convegno «Big talk», tenuto dalla Margherita lo scorso gennaio proprio al Lingotto, e il seminario di Frascati sull'economia, a fine maggio. Nella prima occasione, l'intervento conclusivo di Rutelli delineò una piattaforma economica di netta contrapposizione all'ala radicale del centrosinistra e alla Cgil, che indusse qualcuno a parlare addirittura di «anticomunismo». Da questo momento in poi, Dl e Confindustria affrontano il dibattito sulle imminenti misure a tutela della competitività, allora in discussione in Parlamento, con perfetta identità di vedute. Ne sono prova i continui e frequenti comunicati inviati alle agenzie dai parlamentari economici della Margherita, tra i quali il forlivese Roberto Pinza, presidente della consulta economica del partito, si distingue per fedeltà al verbo confindustriale. A più riprese, Pinza si dichiara totalmente d'accordo con le valutazioni critiche espresse da Montezemolo sullo stato dell'economia italiana. In precedenza, il portavoce Dario Franceschini aveva plaudito alla quasi esplicita richiesta di elezioni anticipate, inoltrata dal presidente Fiat durante l'ultima crisi di governo. Si arriva a maggio, e i vertici del partito si ritirano sui Castelli romani, a Frascati, dove ricevono (a porte chiuse) Montezemolo, Giovanni Bazoli, Luigi Abete e Mario Monti. Un appuntamento accuratamente preparato, sotto la regia di Rutelli, dalla «triade filoindustriale» del partito, formata dall'ex-ministro del Lavoro Tiziano Treu (delegato Dl alla cabina di regia del programma dell'Unione), dal capodipartimento Sviluppo Linda Lanzillotta e da Pinza. Accanto al lavoro degli uomini di partito, vi è anche l'elaborazione del centro studi «Glocus», fondato più di un anno fa dallo stesso Rutelli, e affidato alla Lanzillotta, che si avvale dell'opera di manager come Paolo Cuccia e Paolo Palombelli e di professori come il bocconiano Maurizio Ferrera.

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