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LA VERITÀ IN UNO SGUARDO

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/Carne tua,/ carne Sua,/ creta, terra, /sperma me, /madre,/ mamma,/ te,/ stretta a lui/ notte fu,/ no, non è!/ Grido a te:/ luce è,/ carne, sangue/ forma in te!/ Il tuo sposo,/ padre a me,/ quando in te,/ baci a te,/ nei lenzuoli,/ notte è,/ calma te,/ vedi là?/ Letto lì,/ dentro te:/ nuda sei,/ madre a me;/ grembo sei,/ santo in Lui,/ nel tuo Padre,/ nel tuo Re./ Santo nudo,/ nudo canto,/ no, non pianto./ L'indumento/ - io non sento -/ cade giù:/ nudo è Adamo./ Dice:/ "t'amo"». (dalla seconda delle 14 "stazioni" di Factum est di Giovanni Testori Rizzoli, Milano 1981) Fece scandalo il «Factum est» di Giovanni Testori, quel gemito balbettante di un feto l'istante prima dell'aborto che per lui vale una vita. Fecero scandalo le parole che il poeta consentì a chi non ha voce perché noi non abbiamo udito. Come sembra turbare questa foto che ancora una volta ripubblichiamo su queste colonne, che altro non dice se non «Factum est». Lui c'è. È un fatto. C'è. Vedete, non è una scelta comunicativa del direttore o del grafico di questo giornale. C'è. Caro Franco Monaco, che per anni sei stato un punto di riferimento dei movimenti cattolici e oggi guidi ai vertici la Margherita, questa foto non ha nulla a che vedere con «l'esigenza di richiamare all'attenzione dell'opinone pubblica un problema morale e sociale così rilevante». Lui non è un problema. Lui è. Antonio Taddei, lettore de Il Tempo di San Casciano, l'ha guardato. Si è turbato, voleva scandalizzarsi, dircene «due», come scrive nella sua bella lettera. Ma poi si è fermato di fronte a lui. Che è lì, fra quelle mani in guanti di lattice, anestetiche come tutta la cultura che ci ha tolto umanità. Come si fa a non guardare la «luce è,/ carne, sangue/ forma in te!» che vide così l'occhio da poeta di Testori? Sì, «Factum Est», proprio alla vigilia di Natale. Il segno che un Fatto è entrato nella storia dell'uomo, e non c'è aborto che possa cancellarlo. È nato, e non lo sapevamo. C'è, come quel bimbo ancora non uomo, ancora non nato, fra le mani del chirurgo. Certo, dottor Viale, è stato embrione come lei, come me. È stato voluto, amato, sognato. Come lei, come me. Anche ci avessero abortito. Noi ci saremmo stati comunque dopo quell'istante. E non saremmo, non siamo, comunque padroni dei passi del nostro destino. Per questo dottor Viale, non l'ho sfidata. E non raccolgo la sua piccola sfida che nulla cambierebbe. Grande, piccolo, bianco, nero, normale come lei dice, down, intelligente, stupido, che cambia? Factum est. Appenda quella foto nell'ambulatorio. Solo perché ritrae un fatto. Lasci appeso il crocifisso. È un fatto. Non sta nè a me nè a lei decidere che un fatto convinca o meno qualcuno. Lasciamolo fare a lui, semplicemente non negando, oscurando, raccontando fantasie che diventino anestesia al male, al dolore, al nulla. Permettiamo questa unica libertà, di guardare, o di essere semplicemente lì, pronti ad essere guardati. Le costa così tanto? Chiedo scusa a chi si è turbato e scandalizzato e oggi vorrebbe insultarci. Quella foto chiede solo la carezza di uno sguardo, un sussulto del cuore, la possibilità di essere considerata. Non è lì per provocare, ma per esistere e ricordare. I miei tre figli sono stati lui, e chissà chi saranno. Io ero lui, e chissà chi sarò. Aprite gli occhi, e non negate uno sguardo. Il resto verrà. Franco Bechis

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