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«La sinistra si sente migliore ma è antipatica»

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Il sociologo (non di destra) Ricolfi accusa: «L'opposizione crede di essere superiore eticamente rispetto agli avversari»

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La tesi è del sociologo Luca Ricolfi, professore di Analisi dei dati all'Università di Torino e studioso da sempre collocato a sinistra, che l'ha sviluppata nel suo nuovo libro «Perché siamo antipatici? La sinistra e il complesso dei migliori» (Longanesi & C. pag.203 ?14,0). Professor Ricolfi, lei sostiene che in Italia l'elettorato generalmente non di sinistra è passato da un sentimento di paura per i comunisti a un altro più irriducibile: l'antipatia. Perché l'antipatia in politica è un muro più invalicabile dell'odio? «Perché l'antipatia è un sentimento più debole, e quindi più subdolo. È più difficile accorgersi di essere antipatici che rendersi conto di fare paura. Ed è più facile tranquillizzare il prossimo spiegando perché non deve avere paura di noi, che riuscire a liberarsi di un atteggiamento, di una forma mentis, di un tic». Il suo saggio attribuisce a un presunto sentimento di superiorità morale e di senso civico e sociale, nonché al linguaggio oscuro della sinistra, la sua colpa di essere antipatica. Per esempio? «L'oscurità, la vaghezza, l'astrattezza, e talora anche la contraddittorietà del linguaggio della sinistra sono sotto gli occhi di tutti, come non ha mancato di denunciare una mente fine come quella di Giuliano Amato (che nel mio libro cito proprio per la sua spietata analisi del linguaggio della sinistra). Se vuole un esempio citerei le tre "G" che Fassino ha proposto al congresso dei Ds come slogan riassuntivo delle intenzioni del centrosinistra: "G" come genti, "G" come generi, "G" come generazioni. Come si può pensare che esista anche una sola persona normale, non imbevuta di politica, alla quale la triade genti-generi-generazioni trasmetta qualcosa?» E il senso di superiorità? «Basta pensare a quanto è radicata, a sinistra, l'idea che la sinistra stessa si rivolge alla "parte migliore del Paese", alla sua "ala sana", mentre la destra e il suo leader si rivolgono alla parte peggiore, alla sua "ala malata"». Il disprezzo per l'antagonista politico è un sentimento diffuso solamente nella sinistra? «Il disprezzo per il ceto politico avverso è diffuso in entrambi gli schieramenti. Il disprezzo per gli elettori dello schieramento avverso, invece, è un'esclusiva della maggior parte delle forze politiche di sinistra». E l'antipatia va estesa anche al "popolo della sinistra"? «Vorrei chiarire, prima di tutto, che ad essere antipatico è innanzitutto il discorso della sinistra, con la sua oscurità e con la pretesa di rivolgersi "alla parte migliore del Paese". Poi, su questo discorso intrinsecamente antipatico si innestano le caratteristiche dei singoli, che possono accentuare l'antipatia o neutralizzarla del tutto. Se parliamo dei singoli, per quel che vedo con i miei occhi i meno simpatici sembrano essere i grandi leader nazionali e i militanti più "scaldati", mentre una maggior sobrietà pare presente fra chi ha responsabilità amministrative, specie a livello locale». Lei indica 4 malattie della sinistra. Quali sono? «Le prime tre sono malattie del linguaggio, ossia del discorso della sinistra: la sinistra abusa dei sofismi, ha paura delle parole crude, parla in codice. Insomma, usa "parole di nebbia", come diceva Natalia Ginzburg già un quarto di secolo fa. La quarta malattia, invece, è una malattia dell'anima: è il senso di superiorità morale, il disprezzo per l'elettorato di destra, la credenza di rappresentare "la parte migliore del Paese"». Tornando al linguaggio dei politici, lei afferma che la sinistra ne utilizza ancora uno da prima Repubblica, mentre la destra è più diretta, più reale nel chiamare le cose con il loro nome. Perché? «In realtà nel mio libro io attribuisco in esclusiva alla sinistra solo il senso di superiorità etica, ossia l'incapacità di rispettare le persone di destra (curioso no?, visto il continuo richiamo al valore d

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