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«La Costituzione è un documento vivo»

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Ciampi e Martino uniti nella difesa della memoria e nel rendere onore ai reduci e ai caduti

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Questa la solenne missione che il presidente della Repubblica ha portato avanti anche ieri, in occasione della commemorazione dell'8 settembre a Porta San Paolo (dove morirono 414 militari e 106 civili). Una iscrizione in marmo a piazzale Ostiense è lì per ricordare: «Alla Resistenza che eroicamente qui segnò il 10 settembre del 1943, il secondo Risorgimento», da dove idealmente cominciò la nostra Repubblica. E alla quale si ricollega Ciampi, quando afferma che la Costituzione è «un documento valido, vivo e vitale», perché frutto dello stesso spirito, passato attraverso il dramma della dittatura e la catarsi del 1943-45. Un documento che «ha la passione civile che solo la condivisione profonda e vissuta di valori quali quelli maturati dagli italiani nella loro storia secolare può generare». Perché è «la memoria comune il fondamento della Nazione». L'8 settembre di sessant'anni fa «gli italiani si ritrovarono soli, ciascuno davanti alla propria coscienza». E tanti italiani decisero di reagire. La Liberazione, ha ribadito con forza il presidente della Repubblica, «fu una guerra contro la sopraffazione e come tale fu largamente sentita e condivisa dalla popolazione, nelle città e nelle campagne». Ben altra musica rispetto agli interventi di questi giorni dell'ex presidente Francesco Cossiga, che non ritiene vi sia nulla da celebrare se non i valorosi caduti. Ed è alle sue parole che Ciampi risponde quando afferma che «l'8 settembre non fu la morte della Patria, perché allora la Patria si rigenerò nell'animo degli italiani che seppero essere e seppero sentirsi nazione». I politici infatti rimandarono scelte laceranti rinviandole alla fine della guerra. E «la continuità dello Stato - ha detto Ciampi - vi fu poiché tutti, a partire dai responsabili del Cln, sentirono quanto gli italiani volevano essere Nazione» perchè «erano una Nazione». Un sentimento che anche il ministro della Difesa, Antonio Martino, ha ribadito quando, nel corso della stessa cerimonia, ha fatto riferimento ai sacrifici dei militari italiani «che fecero il loro dovere». Come «a Cefalonia, dove i 10 mila uomini della Divisione Aqui respinsero l'ordine dei tedeschi di consegnare le armi ed arrendersi». E i nazisti, dopo dieci giorni di battaglia, «fucilarono crudelmente gli italiani sopravvissuti allo scontro». Il ministro ha voluto poi rendere omaggio a tutti quelli che «seppero opporsi a quello che era diventato un invasore», in un'Italia divisa «politicamente, geograficamente e militarmente». Martino ha ribadito l'eredità dei soldati che coraggiosamente hanno combattuto a Porta San Paolo. Un'eredità raccolta proprio ieri dai nuovi scaglioni dei Granatieri di Sardegna e dei Lancieri di Montebello, che davanti alle mura Aureliane hanno gridato il loro giuramento di fedeltà alla Patria. Il ministro ha anche salutato «i reduci di quel fatto d'armi», che assistevano alla cerimonia. Per l'occasione erano presenti anche il presidente della Camera Pierferdinando Casini, il vicepresidente del Senato Lamberto Dini, il presidente della Corte Costituzionale Riccardo Chieppa, il ministro della Difesa Antonio Martino, il capo di Stato maggiore della Difesa Rolando Mosca Moschini, il capo della polizia Gianni De Gennaro e il sindaco di Roma Walter Veltroni. Le autorità hanno reso omaggio ai caduti ponendo una corona d'alloro presso le lapidi alla parete delle Mura Aureliane.

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