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«Così si scatenò l'inferno»

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Oggi ha 82 anni, ma ricorda quando, da Sottotente, difese la Capitale, primo dovere dei Granatieri di Sardegna. «Fino a quel giorno eravamo appostati sui tetti dei palazzi ministeriali. Poi l'8 settembre ho ricevuto l'ordine di dare manforte a Porta San Paolo». E davanti alle mura Aureliane si è scatenato l'inferno. «La reazione è stata violenta da tutte e due le parti». Girardi resiste fino al 9 pomeriggio, quando finisce le munizioni. «Disarmati, siamo stati rinchiusi giorni in un campo tedesco. Fino a che non siamo riusciti a scappare». Non sa come, né quale giorno sia uscito da quel campo, «tutti i giorni allora erano uguali». Fugge insieme ad un altro granatiere, un carabiniere e un artigliere, nascosti tra i campi e i prati. Fino a quando non si imbattono in una contadina, che prima si spaventa «perché - spiega Girardi — eravamo sporchi e insanguinati. Poi mi ha ricucito una ferita e ci ha dato abiti civili». In due si nascondono su un treno merci con pane, pecorino e un fiasco d'acqua, che la signora gli ha regalato. «Ci siamo buttati nei campi prima dell'arrivo a Torino. Poi sono finito con i partigiani in montagna». Giacomo Girardi non riesce a trattenere le lacrime pensando a quei giorni. Ma è voluto tornare a Roma per raccontarli. Chi.Sp.

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