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Saccà: se non mi confermano vado a Mediaset

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Lucia, come tutti la chiamano, ha assicurato gli ex colleghi del Tg3: «Di guerra parlerete tutti»

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Per tutti è solo Lucia. Lucia e basta. «Sembro il presidente baciatutti», dice l'Annunziata entrando commossa nella sala al piano terra di viale Mazzini, dove la abbracciano e la baciano uno dopo l'altro tutti gli ex colleghi del Tg3, anche quelli che una volta le si rivoltarono contro: Bianca Berlinguer, Federica Sciarelli, Maurizio Mannoni e tanti altri. Poi arrivano Giuliana Del Bufalo e Guido Paglia, i due candidati più forti alla vicedirezione generale. A fare da padrone di casa, l'attuale direttore Antonio Di Bella che ha atteso pazientemente che finissero le foto di rito, per illustrare la nuova sigla. «Basterebbe ripescare immagini d'archivio», ha scherzato la Annunziata. Poi tutti seduti attorno ad un grande tavolo. «Sono qui - ha detto di rimando la Annunziata - perchè lo sentivo. È un gesto di affetto, non un dovere. Sono felice di ritrovare quel pezzetto di casa che mi appartiene all'interno di quella grande casa che è la Rai». Poche battute perchè, spiega, il suo nuovo ruolo le impone discrezione e riservatezza. «Quando si accetta un incarico di questo tipo - ha detto - bisogna accettarne le regole. Bisogna essere discreti. So che è difficile applicare a me questa regola, ma ci proverò...». I suoi impegni istituzionali, dopo l'incontro con Ciampi di ieri pomeriggio, proseguono oggi con la visita al ministro delle Comunicazioni Gasparri, ma la notte scorsa, pare che non abbia lasciato nemmeno per un momento il settimo piano, nell'eventualità di un attacco, costringendo gli usceri a una turnazione continua. Davanti a tutti comunque Lucia non dice nulla sulla polemica innescata dal Tg3 per l'esclusiva di Vespa sull'informazione di guerra in prima serata, ma quando confabula con la Berlinguer si vede che la rassicura su quanto succederà, e infatti lo stesso Di Bella puntualizza: «Il dg ha detto che non ci saranno privilegi, parteciperà l'intera squadra della Rai». Ed è proprio Agostino Saccà a chiarire il tutto quando arriva, in ritardo, rubando la scena. Ma si abbandona prima ad un nostalgico amarcord, «Questo telegiornale è stato il mio primo amore. Non l'unico...», per poi dare inizio ad un'accorata difesa del suo operato a viale Mazzini, sotto lo sguardo leggermente imbarazzato della presidente: «Non è vero che l'azienda ha perso forza editoriale quest'anno. La debolezza parte nel 2000», dice non parlando affatto del superflop dell'altra sera di Lopez che ha toccato con l'11% di share, il minimo storico di RaiUno in prima serata. «Nel gennaio-febbraio del 2002, con il Cda di Zaccaria, la Rai era sotto due punti rispetto a Mediaset. Ma nessuno se ne è accorto...», aggiunge. «I conti -prosegue- sono straordinariamente positivi. Nel 2002, rispetto al 2001, sono stati risparmiati 200 mld di costi operativi». Il dg dimissionario insiste sulla «riscossa editoriale» in atto, che «parte dall'informazione» e dal gran lavoro impostato per l'emergenza guerra, «senza badare a spese»: «Nemmeno i Lloyd hanno voluto assicurare i nostri giornalisti», afferma, infatti la copertura è assicurata dal fondo rischi della Rai (per circa un miliardo di vecchie lire ciascuno). Per questo la rete di massimo ascolto, RaiUno, manderà in onda le notizie più importanti, ma il «Diario di guerra» andrà in staffetta su tutte le reti, con Vespa ma anche con altri conduttori, come Socci o Floris. Saccà accusa la gestione Celli-Zaccaria di aver «abbandonato pesantemente il core business per investire nei new media» e difende la scelta di RaiDue a Milano: «Una grande opportunità editoriale. La Rai nel Nord ha un problema di marketing che prescinde dal prodotto perchè c'è un pregiudizio della gente». Ma poi pensa a sè stesso, rispondendo sul suo ipotetico futuro da non direttore: «Io alla fiction? In una casa dove si è stati principi non si può diventare maggiordomi. Lo dico con tutto il rispetto per i dirigenti della fiction. A me piace fare tante cose, scrivere libri, andare al mare. Se mi vogliono sono felice, altrimenti esco con onore, anche perché in Italia

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