l'opinione
Vittorio Feltri: dalla famiglia nel bosco a Sgarbi l'ossessione di guardare dal buco della serratura
Ci piace confondere le acque e far passare per informazione la voglia di chiacchiere che ci assale mentre rimestiamo nel torbido col ditino puntato sul presunto colpevole. Maldicenza, voyeurismo, cretineria spavalda... chiamatela come vi pare. Forse siamo solo delle comari sedute sulla pubblica piazza per ingannare il tempo e l’esistenza. Mai come in questo Natale, che per mia fortuna volge al declino, ho assistito allo scempio delle vite di personaggi che erano già pubblici o lo sono diventati loro malgrado.
La famiglia del bosco è stata passata al setaccio fin dentro le lenzuola, lungo le sbeccature dei piatti, nella credenza del salotto consumata dal tempo e dall’umidità. Abbiamo guardato l’incedere prosaico di quella famigliola rurale, misurato i pasti, le giornate, i dialoghi, fi- h nanco la lunghezza del water, in un susseguirsi di perizie, prove documentali e pareri che non tenevano conto dell’unico dato certo: il bene e l’amore che correvano in quella casa. Non paghi di aver smembrato la famiglia anche nel giorno del Santo Natale, ci siamo interrogati un’altra volta sulla caparbietà di Catherine (la mamma) nel voler offrire un’educazione alternativa a quella scolastica, e sul viso pallido del padre che è affranto e rivuole i figli ma non avrebbe presentato i documenti per la ristrutturazione.
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Ha prodotto qualcosa questa esondazione di informazioni e indagini riversate all’opinione pubblica? Nulla. Il giudice non ha cambiato idea. E noi abbiamo mangiato panettone e bevuto spumante seduti alla tavola imbandita a festa mentre tre fanciulli inseguivano abbracci, parole e affetto materno dentro i minuti risicati concessi da un giudice estraneo in una comunità che li ha accolti e non sarà mai casa.
Lo stesso scempio mediatico sta accadendo con Vittorio Sgarbi, il noto storico dell’arte. È mio amico e gli voglio bene. Ci ubriaca di pittura rinascimentale e iperboli moderne, ci immerge nella bellezza, ci scuote dal torpore, grida improperi all’ignoranza e fa bene perché siamo tutti mezzi addormentati nella nostra insipienza. Il suo «capra» gridato all’interlocutore inetto è più di una riposta a un’assenza di conoscenza: è un grido di battaglia che vorrei far mio se avessi la metà della sua voce. In più ha vissuto la depressione come me e ne è uscito provato nel fisico e nella mente. Ma su di lui è partito il fuoco incrociato.
Salvo sì, ma destinato a entrare nel tritacarne della nuova informazione. L’attenzione pubblica si è spostata infatti sul suo rapporto con la figlia Evelina che ha messo in dubbio la lucidità del padre domandandone un amministratore di sostegno.
Nulla di più orripilante, per una mente eccelsa, che essere imbrigliati nell’accusa di imperizia e incapacità di agire e provvedere a se stessi. Doveva essere una faccenda personale e famigliare, invece è diventata di pubblico dominio. Non ho seguito il dibattito nel dettaglio ma ho intravisto lo stillicidio avvilente: cosa dice lei, cosa risponde lui, cosa sostengono le amiche, i detrattori, le ex fidanzate, gli opinionisti che nei salotti tivù di esimi colleghi espongono il loro rosario mentre le telecamere indugiano sul pallore di Vittorio, sugli occhi adombrati, sul ciuffo composto sulla nuca alla maniera di chi si è arreso al tempo e non ha più voglia di combattere.
Anche le parole di quello spirito critico, che prima erano pugni nello stomaco degli ignoranti, ora vengono passate al setaccio alla ricerca di un qualche cenno di cedimento o segnale del genio avvinto dalla depressione. Ama una donna, Sabrina, e vuole sposarsi? Il giudice dovrà stabilire se è pronto per un passo così grande ma intanto l’opinione pubblica ha scandagliato tutte le possibilità.
Nel suo caso poi la violenza è ancora più lampante e lasciva. Perché da poveri guasconi in cerca di vanagloria e incapaci di costruirci una dimensione personale non vediamo l’ora di godere dei patimenti altrui, soprattutto se sono ricchi, famosi e colti.
Maledetta invidia. Quale vendetta più grande per il popolino annoiato che pascola i social?
Se poi c’è di mezzo la vecchiaia, il pettegolezzo si ammanta di pietismo. Si viene passati al setaccio come carne da macello. Le rughe, il fisico, la favella. Ne so qualcosa io che per magrezza e per la mia nota insofferenza al cibo mi trovo a trascorrere il Natale più sottile di qualche chilo. Qualcuno vuol vederci chiaro, e adombra pareri sui social. Io invito tutti a farsi i fatti propri e andare al diavolo.
Trovo insopportabile questo rimestare negli interessi delle persone, e nel loro privato. Metterli sulla pubblica piazza. Sfilacciarli. Incrociarli. Processarli prima di un procedimento tribunalizio. Il vero e la bugia.
La lode e l’infamia. Tutto sullo stesso piano. Signorini, giornalista assai famoso, è solo l’ultima della lista: schiacciato da una serie di accuse violentissime lanciate contro di lui dall’ex fotografo dei vip Fabrizio Corona su un presunto "metoo" all’italiana. Tutto da dimostrare ma è partito il tiro al bersaglio.
Mi domando: quando avrà fine la violenza? Quando smetteremo di guardare dal buco della serratura? Garlasco docet. Si comincia con il fare informazione, si prosegue con il chiacchiericcio da salotto, si finisce con il teatrino mediatico. Non si risolve il caso e non si rende giustizia a nessuno, ma si crea il mostro (o l’imbecille) da sbattere in prima pagina. Noi passiamo il tempo e ci dilettiamo, qualcuno ci rimette la salute e la vita.