Garlasco, “alibi falso”. Sarzanini e lo scontrino che non apparteneva a Sempio
A diciotto anni dall'omicidio di Chiara Poggi, uccisa il 13 agosto 2007 nella sua villetta di Garlasco, il “giallo” che ha segnato la cronaca nera italiana continua a far discutere. Il caso – che ha portato alla condanna definitiva dell’ex fidanzato Alberto Stasi a 16 anni di reclusione – torna al centro dell’attenzione mediatica e giudiziaria con una nuova pista investigativa: quella che conduce ad Andrea Sempio, amico di famiglia dei Poggi, e con il possibile coinvolgimento di altre figure rimaste finora sullo sfondo. Nel corso dell'incontro “Le Conversazioni del Corriere” dello scorso primo ottobre, la giornalista e vice direttrice del Corriere della Sera Fiorenza Sarzanini ha risposto alle domande degli abbonati, offrendo spunti di riflessione sul caso e sulle sue implicazioni più ampie. “Non credo sia stato un delitto premeditato – ha affermato Sarzanini – ma piuttosto un delitto d’impeto, forse legato a un rifiuto o a una lite. Le zone d’ombra restano numerose, e anche se esiste una sentenza definitiva, è giusto cercare la verità, con rispetto per la giustizia e per la famiglia di Chiara”. La riapertura delle indagini, sollecitata dalla difesa di Stasi, nasce anche dai “buchi” lasciati dall’inchiesta iniziale. A distanza di anni, grazie a tecniche investigative più avanzate, alcuni elementi prima trascurati tornano oggi in primo piano: tra questi, lo scontrino di un parcheggio che potrebbe aver fornito un falso alibi, e l’eventuale presenza di Dna maschile non appartenente a Stasi sulla scena del crimine. Tuttavia, precisa Sarzanini, “per ora contro Sempio non ci sono prove, ma solo indizi. Se ci fossero state prove concrete, sarebbe stato già arrestato”.
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Proprio Andrea Sempio, oggi di nuovo al centro dell’attenzione, era stato inizialmente indagato, ma “fu improvvisamente estromesso dall’indagine – ricorda Sarzanini – nonostante ci fossero degli elementi che potevano pesare su di lui. Uno su tutti questo famoso scontrino che un anno dopo fu trovato a casa sua e che lui portò a riprova del fatto di avere un alibi. Lo scontrino del parcheggio avrebbe dimostrato che lui era lontano chilometri quando è avvenuto il delitto”. Ma è la nuova inchiesta a rivelare un dettaglio inedito e potenzialmente rilevante. “In realtà – prosegue la giornalista – lo scontrino non apparteneva a Sempio, ma fu dato alla madre da un suo amico. Perché tu porti uno scontrino a prova del tuo alibi, che in realtà è un alibi falso? Sei spaventato perché avevi dei rapporti con Chiara che sono non trasparenti e quindi hai paura di essere coinvolto? Si tratta di un comportamento sospetto su cui i magistrati approfondiranno". Il caso Garlasco è anche un caso emblematico delle criticità del sistema giudiziario italiano. Tre gradi di giudizio, due assoluzioni e infine la condanna definitiva in Cassazione, nonostante lo stesso procuratore generale avesse espresso perplessità sulla solidità dell’impianto accusatorio. “Il principio del ragionevole dubbio – ricorda la giornalista – non è stato rispettato. Ma la revisione della sentenza richiede elementi nuovi e forti, che finora non ci sono stati”. In caso di ribaltamento giudiziario, Stasi potrebbe chiedere un risarcimento per ingiusta detenzione, con cifre che potrebbero arrivare a centinaia di migliaia di euro. Ma, avverte Sarzanini, “se bastasse denunciare un’altra persona per ottenere la revisione, perderemmo la certezza del diritto”.
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Una delle questioni più delicate riguarda il dolore della famiglia Poggi, che da sempre ha creduto nella colpevolezza di Alberto Stasi e oggi appare chiusa alla possibilità di nuovi scenari. “La loro posizione va rispettata – sottolinea Sarzanini –. Pensiamo al dramma che comporterebbe scoprire che l’assassino potrebbe essere stato un amico di famiglia, accolto nella loro casa. Nessuno può giudicare il loro atteggiamento”. Allo stesso modo, le cugine della vittima, le sorelle Cappa, tornano sotto i riflettori per alcune loro dichiarazioni criptiche. “Furono già sentite – chiarisce Sarzanini – e probabilmente lo saranno ancora. Se avranno un ruolo, lo sapremo. Altrimenti, non è giusto esporle mediaticamente”. Il caso Garlasco è anche un laboratorio sui rapporti tra giustizia, informazione e opinione pubblica. I social amplificano tutto, spesso con superficialità, ma non sono l’unico problema. “Dobbiamo dare notizie senza alimentare spettacolarizzazione – dice Sarzanini –. Anche noi giornalisti siamo influenzati dai social. Tuttavia, non possiamo smettere di fare domande e raccontare ciò che accade”. Intanto, l’inchiesta si allarga anche sul versante delle presunte corruzioni: l’ex procuratore Mario Venditti è finito sotto la lente per un presunto pagamento di 20/30mila euro, forse legato alla rimozione di Sempio dalle indagini. “Non so se sia vero – ammette Sarzanini –. Ma che ci siano indagini è doveroso. Il problema non è quanti soldi, ma il fatto che un procuratore possa aver abusato del suo ruolo”. Indagare su un caso chiuso da anni comporta anche costi importanti. “Paga lo Stato, quindi tutti noi – afferma la giornalista – ma se questi fondi servono per arrivare a una verità più certa, vanno considerati un investimento nella giustizia”. Alla fine, resta una domanda sospesa: la giustizia italiana è ancora in grado di rispondere alla domanda di verità dei cittadini? Il caso Garlasco, con le sue contraddizioni, i suoi errori e i suoi colpi di scena, sembra indicare che il cammino è ancora lungo.
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