Vittorio Feltri senza filtri su borseggiatrici e centri sociali: onestà nel Paese dei corrotti
Non credo nella giustizia ma mi sono abituato all'ingiustizia. E ho visto crepare brave persone nel tentativo vano di affermare la più banale delle verità. Qui però siamo al punto di non ritorno. I cattivi non solo non vanno in galera, ma mandano in galera i buoni. E i buoni vengono puniti o fanno la parte dei bischeri. In estrema sintesi è un mondo all'incontrario di disvalori passati per valori e cittadini onesti condannati all’estinzione. Vi cito due soggetti che vi parranno calzanti. Le borseggiatrici rom e gli abusivi del centro sociale milanese appena sgomberato.
Esempi eloquenti – come scrisse Italo Calvino nel suo Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti – che in questa nostra Italia chi ruba “è sicuro d’aver fatto agire il proprio tornaconto individuale in favore del tornaconto collettivo, cioè può senza ipocrisia convincersi che la sua condotta è non solo lecita 1 ma benemerita”.
Oddio, scorgo maretta all'orizzonte e flotille di paladini di sinistra pronti a incalzarmi al primo fallo e spedirmi in fondo al mare. Ma converrete con me che non c’è categoria più infida al mondo di chi ruba e si appropria di un bene altrui. Le borseggiatrici rom per esempio.
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Signore e signorine dalla mano lesta che si intrufolano nelle metropolitane e nelle piazze affollate al solo scopo di svuotare le tasche ai cittadini perbene. Un tempo le riconoscevi facilmente perché indossavano gonnone ampie, fazzoletti sulla testa e ciabatte slabbrate dalla polvere metropolitana. Oggi vestono Prada e Dior tutto finto ovviamente - e si atteggiano a turiste compite in cerca di arte e bellezza. Si muovono in squadre addestrate al grande gioco delle guardie e ladri (se le guardie ci fossero), e gabbano la vittima predestinata con una manovra di accerchiamento degna dei grandi predatori. Mentre il derubato poverino - spesso un vecchietto con la pensione profumata di fresco e desideri semplici da realizzare non si accorge di nulla se non a cose fatte, quando il portafoglio è vuoto e in tasca restano solo il fazzoletto per piangere e il santino della moglie defunta (lei ovviamente lo guarda dall’oltretomba e prepara per vendetta un’accoglienza coi bigodini). A Milano come a Roma se ne vedono di tutti i colori.
L'esasperazione dei cittadini è arrivata a un punto tale che si sono costituiti squadroni di giustizieri intenzionati a filmare e a segnalare le ladre metropolitane. Ma come dicevo tutto evolve. Anche i delinquenti. E le borseggiatrici, perennemente incinte e spalleggiate da qualche avvocatucolo in cerca di vana gloria, hanno capito che le leggine sono fatte per essere aggirate, strapazzate, fuorviate. Pertanto che fanno.
Denunciano i cittadini che le additano per strada e le filmano, accusandoli di stalking, violazione della privacy e altre corbellerie che solo a pensarle mi viene il mal di stomaco. Uno spettacolo esilarante quando le vedi fare la morale ai poliziotti delle volanti, e organizzare piazzate pubbliche davanti al bottino appena requisito perché rubare è il loro mestiere e se le disturbi non la passi liscia.
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Interruzione di pubblico servizio applicato al borseggio non si era mai visto, ma potrebbe configurarsi come reato se continua la moda delle ruberie sui treni. Intanto i sindaci assistono impotenti alla strage di portafogli e le polizie municipali alzano le mani scorate. D’accordo. Ma che c’entrano i leoncavallini e i loro sodali che questo pomeriggio sfileranno nelle vie di Milano? Anche loro fanno parte della trama dal momento che oggi non scenderanno in piazza per la legalità, l’onestà e la pace nel mondo. Ma contro gli sgomberi, contro la polizia, contro la città che si gentrifica e muore perché non li lasciamo liberi di occupare edifici e cazzeggiare alle spalle dei cittadini ligi al dovere, alle leggi e alle scadenze. Anpi, Cgil, l’estrema sinistra e qualche piddino a titolo personale non di partito (l’ipocrisia, si sa, è una copertina comoda e rassicurante), marceranno alla testa del corteo seguiti da masnade di ragazzini coi fumogeni nella mano e bella ciao sulla bocca.
Tralascio qualunque riflessione sul sindaco Sala furbamente planato a Parigi per non assistere allo spettacolo indecoroso della sua città martoriata e violata. I milanesi, lo so già, se ne staranno asserragliati in casa a domandarsi se abbia un senso una manifestazione che vuole difendere l’illegalità e un centro sociale che ha occupato per 50 anni, organizzando concertini, cene solidali, e feste del raccolto senza fatturare un euro al fisco e, leggo su Libero, senza mai versare un soldo di Tari. 800mila euro di tassa rifiuti gabbati alla collettività che gli spazzava casa e lo zerbino senza avere indietro neanche un grazie. Cosa inventeranno dunque questo pomeriggio? La colletta vip per pagare la Tari agli abusivi storici? E magari sanare il conto alla proprietà che ha chiesto al Ministero dell’interno 3 milioni di risarcimento per i mancati sfratti? Davvero ho fatto il callo a tutto.
Tuttavia non pensavo di assistere all’involuzione della società. Non finirà come scriveva Dante nell’ottava bolgia del suo capolavoro, con i ladri morsi dai serpenti che gli succhiano l’identità perché rubare fa schifo e toglie l’umanità. Ma come diceva Calvino in quello scritto rivelatore (uso il presente per farlo un po’ più mio) con i disonesti ridotti a maggioranza di un sistema ha che "una sua stabilità, compattezza e coerenza" e gli onesti che non possono farci “niente se le cose che stanno loro a cuore non sono direttamente valutabili in denaro, se la loro testa funziona sempre in base a quei meccanismi che collegano il guadagno col lavoro, la stima al merito, la soddisfazione propria alla soddisfazione d’altre persone” e che hanno imparato a tacere e a vivere la loro onestà in modo discreto, “come una controsocietà che persiste ai margini, senza pretese di trasformare il sistema”. La rassegnazione insomma. Forse più dolorosa e amara della resa dopo la battaglia.
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