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Feltri: le quattro vite di Irene Pivetti. Dalle stelle alle stalle sorretta solo dalla fede

Vittorio Feltri
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Ricordo il giorno in cui Irene Pivetti divenne presidente della Camera. Portava un tailleur castigatissimo e un foulard al collo inguardabile, e si preparava a prendere il posto che era stato di Nilde Iotti con sorprendente nonchalance. 31 anni soltanto, meno di Cristo, e la metà di tanti dinosauri della Prima Repubblica. Non sapevo chi avessi di fronte ma intuivo che se era piaciuta a Bossi doveva essere scaltra. Mi ha commosso sapere che è finita nel tritacarne della giustizia dopo una condanna per evasione fiscale. E che ha attraversato un periodo buio della vita in cui ha dovuto rimboccarsi le maniche per uscire viva. Hoara Borselli è stata abilissima a stanarla e a carpirle una confessione sincera in cui l’ex presidente della Camera racconta di essersi trovata con le pezze al sedere e di essere stata costretta, prima a vendere i regali di nozze ai rigattieri e poi, quando i rigattieri hanno chiuso per Covid, a ritirare il cibo alla Caritas di San Vincenzo.

Le vedo sempre le file ordinate fuori da Pane Quotidiano il sabato mattina. Soldatini obbedienti che si muovono in silenzio. Ognuno uguale all’altro dentro l’abito stretto della povertà che accoglie da mani sconosciute una lattina e un po’ di scatolame, e restituisce sorrisi imbarazzati. Immaginare, tra quegli sconfitti, l’ex leghista di ferro mi fa quasi paura. Ho conosciuto la fame da bambino e la riconosco nei volti di tante anime di strada. Ma non si crede che possa bussare alla porta di chi ha avuto tutto e forse qualcosa di più. La ruota che gira? Forse. O più banalmente il tritacarne dell’ingiustizia che come una macchina (dice giustamente Pivetti) ruzzola giù e travolge qualche vita. Poi senz’altro c’è il meccanismo parallelo dell’umanità grama che scende dal carro del vincitore appena smette di vincere, e diventa nemica a prescindere. Telefoni muti. Mani in tasca. Occhi che girano a vuoto e si confondono nella folla estranea. Anche per affittare un buco di casa devi implorare qualcuno che garantisca per te. Ma diventi un appestato. Un reietto senza voce. Fuori dai giochi e relegato tra gli innominabili.

Magnifico quel ’94 in cui nasce il fenomeno politico e di costume che si chiama Irene Pivetti. Basta il nome a incuriosire. Milanesina del 1963, con gonna al ginocchio e camicetta a sbuffo, una Franca Valeri prestata alla politica, e oltretutto impavida e dotta. C’è solo lei a incuriosire la platea dei votanti. «Di tutti gli uomini nuovi il più nuovo e il più uomo è senz’altro Irene Pivetti», diceva Montanelli. Prima della classe con laurea in Lettere a indirizzo filosofico alla Cattolica di Milano. Gli altri fanno la fila fuori dalla casa di Gemonio, lei manda una tesina via mail sul leghismo degli esordi ed è fatta. Il gigante Bossi, in canottiera e sigaro cubano, le chiede di occuparsi dei leghisti cattolici. Immagino che la poverina si facesse il segno della croce ogni volta che alzava il telefono e parlava con il senatur del celodurismo. Tanto è ruvido e istintivo lui, quanto ponderata e pia lei. Le femministe vogliono tirarla per la giacchetta, ma lei che ha collaborato alla stesura di diversi volumi di linguistica non si piega a quel tiro al bersaglio sulle vocali femminili che ha il solo scopo di rendere il mondo più rosa e le donne un pochino più sceme.

Da presidente della Camera tiene a bada i deputati compreso l’Umberto nazionale. Poi si tuffa nel vezzo popolare: mani sulla faccia sbiancata quando in America l’Italia perde ai mondiali di calcio contro il Brasile (1994). In camicia verde e fazzoletto da boy scout al collo sul pratone di Pontida che l’accoglie con la ola e le chiede di firmare magliette sudaticce. In preghiera da papa Wojtyla, quasi trasfigurata dalla commozione. Il giovane marito Alberto Brambilla arriva alla ribalta nel 1997 e agita i sonni delle riviste di avanspettacolo. Possibile che la donna tutta d’un pezzo sposi il bellimbusto più giovane? Lei d’altronde porta ancora i tailleur abbottonati fino alla giugulare, trasuda fede, politica e poco altro. Ma un certo cambiamento fermenta e ribolle sotto la cenere. Arrivano due figli, Ludovica Maria e Federico. Intanto Scalfari, Romiti, lo stesso Francesco Saverio Borrelli sono incantati da lei. Pivetti è fenomeno vero. La carriera politica corre veloce, ma nel ’96 viene espulsa dalla Lega e fonda altri movimenti. Poi si reinventa in televisione, tra ospitate, conduzioni e persino copertine provocatorie. Tre vite in una, anzi quattro: la politica, il giornalismo, l’imprenditoria e infine il sociale. Dopo le inchieste giudiziarie e le cadute, la rinascita arriva con il lavoro accanto agli ultimi, persino come volontaria nelle pulizie. Senza rabbia e senza rancore, con fede o con semplice coraggio, Irene Pivetti resta sempre in piedi. Onore al merito.

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