Maria Rita Parsi: "Vittoria che ricorda le battaglie del primo femminismo. Non contrapporre donne e trans"
La decisione della Corte Suprema britannica, che ha stabilito che si può definire donna solo chi è nata biologicamente tale, «è una vittoria per tutti, se si pensa alle battaglie del primo femminismo e a quei Paesi del mondo in cui ancora si pratica l’infibulazione, in cui a sposarsi sono le bambine, in cui la maternità è un obbligo e in cui le ragazze non possono studiare, guidare o uscire da sole», ma «è sbagliato, anzi vergognoso, mettere le donne contro i transgender» e non tenere conto dell’ampio spettro di sensibilità che caratterizzano la società odierna. A scandirlo è la psicologa e psicoterapeuta Maria Rita Parsi.
La Corte Suprema britannica ha sancito che le persone transgender non hanno diritto a essere riconosciute come donne. Cosa ne pensa?
«Così come è stato per le femministe, che hanno lottato per il riconoscimento dei loro diritti, ora è bene tutelare i transessuali. Mettere, con questa decisione, i trans contro le donne è profondamente errato. Soprattutto se non si comprende fino in fondo il vero significato di questa notizia».
E qual è il vero significato? Chi deve esultare?
«Le donne vedono riconosciuti i loro diritti e per questo devono esultare tutti: le donne, certo, ma anche gli uomini. I diritti umani dei transessuali, però, vanno tutelati. Guai a chi li tocca! Il rischio è che si tratti dell’ennesimo gioco di potere».
Ai danni di chi?
«Se si fa di tutta l’erba un fascio e si scatena una guerra interna tra le donne e i trans, a rimetterci sono sicuramente le prime. Le donne, un tempo discriminate, se messe contro i trans, vengono nuovamente usate. Attenzione: le femministe non dicono di eliminare gli omosessuali dal loro gruppo e lo stesso vale per i transessuali».
Il punto, però, è che a battersi per questo risultato è stato il gruppo femminista «For Women Scotland».
«Non serve discriminare i trans per dire che siamo noi a essere donne, che siamo noi a portare avanti una gravidanza e che siamo noi a partorire. C’è uno studio, che è stato pubblicato su Science e che è stato coordinato dal ricercatore Andrea Ganna, che scioglie tutti i nodi. Intervistando 470.000 soggetti, Ganna ha dimostrato che non esiste un singolo "gene gay", ma che esiste una "non eterosessualità". Spiego meglio: le varianti genetiche di una persona non predicono se avrà comportamenti omosessuali, ma sono il risultato di un cocktail di elementi che spaziano dal Dna a fattori esterni di carattere sociale o culturale».
Un essere umano adulto di sesso femminile è biologicamente diverso da chi dice di sentirsi tale.
«Il caso della transessualità è unico. I transessuali non portano avanti una gravidanza, non partoriscono, non conoscono il post partum, è vero. Si sentono, però, donne e imprigionati in un corpo che è espressione del maschile. Hanno diritto quindi a tutte le tutele possibili per la loro condizione».
Il governo locale della Scozia, contro cui si sono schierate le femministe, aveva però promosso una legislazione volta a garantire il riconoscimento della definizione di donne anche ai trans e strizzato l’occhio alle teorie gender.
«Ma cosa sono le teorie gender? Non significano niente. Queste persone sono transessuali ed è giusto che vengano garantiti i loro diritti».
Perché si tratta dell’ennesimo gioco di potere e perché il rischio è che si schiaccino ancora i diritti delle donne?
«Le donne, purtroppo, devono ancora difendersi dalla violenza domestica, dagli abusi, dai femminicidi. Incitarle oggi a difendersi anche dai transgender e mettergliele contro mi sembra davvero assurdo».
Dai blog
Generazione AI: tra i giovani italiani ChatGPT sorpassa TikTok e Instagram
A Sanremo Conti scommette sui giovani: chi c'è nel cast
Lazio, due squilli nel deserto