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Vittorio Feltri: solo al Festival di Sanremo l'Italia dei conflitti fa pace con se stessa

Vittorio Feltri
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Propongo di organizzare le prossime elezioni politiche al festival di Sanremo. Non tanto per le vacue dichiarazioni di anti-melonismo dell’inconsistente Elodie o per il certificato di antifascismo che si deve esibire in conferenza stampa quasi fosse un lasciapassare per scendere le scale dell’Ariston, ma perché nulla attrae più della manifestazione canora giunta alla sua 75esima edizione e ancora ammirata da milioni di telecretini. Scansati calcio.... Pare che il tormentone canoro della città ligure sia il nuovo strumento di pacificazione nazionale, un’occasione mondana su cui si misura il patriottismo degli italiani disuniti in tutto eppure uniti davanti a un palco di canzonette. Sanremo è il surrogato di un’Italia che perde pezzi da tutte le parti, scrivono penne autorevoli, e invece ritrova tra quelle mura mutevoli il collante storico e il suo alter ego, rigenerandosi e ricostruendosi indipendentemente da chi solchi il palcoscenico, l’istrionico Amadeus - falcidiato per aver tradito la causa - o il mellifluo Conti, monotono e grigio nonostante il marron glassato del suo viso.

 

Io trovo che la manifestazione sia una boiata pazzesca. E mi sorprende che si passi un anno intero a confezionare sei giorni di avanspettacolo in cui star e starlette si alternano sul palco convincendosi che sia quello il viatico per il successo. Ogni anno si consuma un rituale sfinente a cui tutti ci sottoponiamo come pecore del gregge: le notizie centellinate dagli studi dei tg collegati con casa Conti come con la Casa Bianca; le anticipazioni sui cantanti in gara e sul dopo festival; le foto ritoccate delle signore; Al Bano escluso senza un perché; Ranieri e Marcella Bella che ritornano come un mantra e sono sempre più giovani; poi i complottisti dei social e gli exit poll della penultima serata. Neanche per le elezioni politiche si fa una simile caciara. E quando inizia la kermesse vera, il dibattito esplode. Sui social, nei mezzanini della metropolitana, persino nelle redazioni dei giornali dove da tre giorni sono tutti scienziati del carnevale canoro e non uno porta più una notizia.

 

Il bello è che si parla del niente. E non succede mai niente. Grillo almeno all’epoca aveva esibito il suo cachet generoso ( 350 milioni lordi) e le penali previste dal contratto se avesse parlato (male) dei socialisti; Benigni aveva steso il Baudone con un bacio sulla bocca; e mi pare che un poveretto invalido e pensionato avesse persino provato a lanciarsi dalla balconata del teatro sfiancato dai problemi economici e di salute. Imprudenze, esagerazioni, sublimazioni che facevano dimenticare le esibizioni tristi dei cantanti.

Oggi il massimo della vita è un Malgioglio in strascico rosso e pantofole da orso che imita le modelle leggiadre in passerella mentre Nino Frassica imita Malgioglio: divertenti entrambi ma basterebbero cinque minuti di ognuno e non cinque ore di trasmissione. Poi diciamolo: è arrivato Conti ed è pure peggio dell’era Conte per i 5stelle. Un impiegatino lezioso degli uffici comunali che ripete la parte a memoria, il «talequaleshow» di se stesso, non sbaglia, non sgarra, non eccelle di una virgola e quando l’ho visto sul palco insieme al faccione bonario del papa che predicava di musica e fede con il respiro corto ho temuto fossero lì per dare a tutti l’estrema unzione. Coraggiosa Bianca Balti. Ha portato il suo ottimismo in diretta tv nonostante la malattia, ho idea di cosa provi e dispiace non poterle restituire un quarto della sua forza. Mentre della Clerici, lo dico con affetto, avremmo potuto anche fare a meno, meglio dividere con lei la tavola di mezzogiorno che la scena ligure.

 

Mi fa piacere che Fedez si stia facendo notare. Per lui nutro una sincera simpatia come per tutti quelli che d’improvviso cadono in disgrazia e stanno sulle palle al mondo. Mi dicono che la sua canzone sia un pugno nello stomaco come le lenti nere che indossa. Non so se piglia tutti per i fondelli, probabile di sì conoscendo il soggetto. Vincesse lui sarebbe un barlume di vita in questo magma glassato di talenti modesti, ma non credo che l’Italia bacchettona e moralista abbia tanto coraggio. Preferisce la canzone sulla mamma di Cristicchi, anche se l’autore fa arricciare certi nasi woke e non è graditissimo a sinistra.

 

In tutto questo non comprendo come l’amore possa essere ancora centrale nelle canzoni della kermesse quando dell’amore frega niente a nessuno se non c’è un telefonino su cui chattarlo. Non si bacia più, non si scopa più, ma si sbrodolano lenzuolate di rimorsi amorosi, passioni e dichiarazioni svenevoli. Persino i rapper si sono coperti i tatuaggi orripilanti e hanno intinto la penna nel miele pur di essere accettati dal palcoscenico nazionalpopolare. Uno scenario di noia assoluta e conformismo becero. Non che in passato fosse diverso ma almeno qualche talento si imponeva: Villa, Tenco, Modugno....

L’unico talento vero di questa sanscemo è invece un bimbo di sei anni che suona il piano come un maestro navigato. Ha l’orecchio assoluto e fluttua sui tasti con travolgente genialità ma è fuori gara perché ovviamente i geni in Italia hanno vita complicata e temo che quando avrà l’età giusta per solcare la scena non andrà a Sanremo ma in un teatro consono al suo talento. Insomma, il paese è paralizzato. È un rimbambimento pandemico. Siamo in piena sanremite. Approfittiamone per organizzare su quel palco le prossime elezioni politiche, tanto alle urne vere non andrà più nessuno. Da una parte Fedez dall’altra Achille Lauro. Il centro potrebbe essere rappresentato da un neomelodico napoletano con Beppe Sala federatore. Conti presidente di seggio. Gerry Scotti e compagnia cantante gli altri scrutatori. E tra un voto e l’altro una suonata, questo è fondamentale. Sono sicuro che l’affluenza sarebbe massima. E pure l’auditel. Sul futuro del paese però non garantisco. 

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