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Cecilia Sala, l'ambasciatore Sessa: "Deciderà Khamenei. È scritto nella loro Costituzione"

Aldo Torchiaro
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L’Ambasciatore Riccardo Sessa, presidente della SIOI, è stato ambasciatore di lungo corso in varie sedi tra cui Teheran. È stato anche Direttore Generale per i paesi del Mediterraneo e il Medio Oriente, e in precedenza, Capo dell’Ufficio per i rapporti con il Parlamento al Gabinetto del Ministro degli Esteri e Consigliere Diplomatico del Ministro della Difesa.

Ambasciatore, lei ci ha vissuto per tre anni. Che cos’è l’Iran, oggi?
«L’Iran alla fin fine è sempre lo stesso: è un Paese dalla storia millenaria e dal presente turbolento. Oggi impegnato in una situazione di conflitti, di guerre e di alleanze che ci preoccupano fortemente e lo mette nella condizione di poter svolgere un ruolo e anche di essere attenzionato dalla comunità internazionale e dai maggiori attori sul piano multilaterale».

Oggi è ostaggio degli ayatollah?
«Non so se sia corretto dirlo. Dal 1979 gli ayatollah si impersonificano con la storia dell’Iran. Non dimentichiamo che sul piano internazionale occorre pragmatismo e realismo ed è con quella dirigenza che bisogna fare i conti».

 



 

Ma loro i conti li fanno, con la modernità?
«Per loro la modernità è ciò che succede dal 1979 in avanti».

Anche il carcere di Evin è antico.

«Sì, era stato edificato dallo Shah negli anni Cinquanta. Ed era già tristemente noto. Che l’Iran non sia un Paese modello nel trattamento umano dei detenuti, è notorio».

È un paese che fa ricorso alla diplomazia degli ostaggi.

«Sì, e non da oggi: lo hanno sempre fatto. Noi occidentali dovremmo aver maturato l’esperienza, e forse evitare di cadere nelle trappole che gli iraniani ci tendono».

 


 

Cecilia Sala è caduta in una trappola?
«Su Cecilia Sala vorrei evitare di fare recriminazioni, di partecipare alla caccia alle responsabilità. Appartengo a una scuola di pensiero e di azione per cui di certe situazioni, meno se ne parla, meglio è. Occorre una grande prudenza nell’affrontare tutto ciò che riguarda l’Iran, adesso, perché abbiamo una cittadina italiana detenuta lì».

E per la quale la posta in gioco è alta...
«Non è necessario essere un esperto per fare il collegamento con una partita a scacchi che coinvolge anche i due cittadini arrestati in Italia due giorni prima della Sala. Riserbo totale: chi deve lavorare, lavori. I famigliari devono essere rassicurati del massimo impegno del governo e delle autorità italiane. È bene evitare di disquisire sul trattamento in cella. Lasciamo lavorare i palombari».

Quelli delle trattative sottobanco?
«Ma certo. La macchina della Farnesina ha una vasta esperienza nel gestire queste situazioni di concerto con l’intelligence, e dobbiamo solo continuare a far lavorare sottotraccia chi lo sta facendo: il successo delle operazioni delicate si ottiene così».

Qui però non interloquiamo con il Ministero degli esteri di Teheran, ma con i Pasdaràn. Che cosa sono?
«Si deve interloquire con chi ha il potere reale in Iran. Certamente anche con i pasdaràn. Che sono le "altre" forze armate dell’Iran. Un paese strano, da questo punto di vista. Perché hanno un esercito regolare, con forze di terra, mare e aria, e ha poi un corpo di guardiani della rivoluzione composto da 200.000 persone, a loro volta suddiviso nelle tre specialità. Tutti fortemente legati al potere teocratico e alla Guida Suprema. Rispondono soltanto a Khamenei. Quando nascono, nascono con l’intento di controllare la situazione sul piano interno. Con riferimento alle rivolte interne, alle minoranze etniche. Affiancati da un corpo di volontari, una milizia di Basij, una forza paramilitare creata direttamente da Khomeini. Una forza di volontari paramilitare che ha il compito di evitare – sul piano interno – rivolte, in aggiunta all’esercito regolare».

Chi deciderà della sorte di Cecilia Sala?
«Khamenei. Le decisioni più importanti sono della Guida Suprema. È scritto anche nella Costituzione iraniana».

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