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Selvaggia Lucarelli, la difesa di Orsini: "E' una vendetta", chi chiama in causa

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Il suicidio della pizzaiola Giovanna Pedretti ha messo sul banco degli imputati anche Selvaggia Lucarelli. In sua difesa interviene sui social Alessandro Orsini che punta il dito contro il desiderio di vendetta. Di chi? "Suicidio, odio social e vendette personali - scrive Orsini sulla sua pagina Facebook - Vorrei innanzitutto esprimere il mio cordoglio e il mio dolore e stringermi intorno ai familiari in questo tragico momento. Ciò premesso, le scienze sociali insegnano che il suicidio è un fenomeno complesso poiché è causato da una molteplicità di fattori. Questa complessità impone una classificazione. Quindi, la prima cosa da sapere, è che esistono tipi diversi di suicidio e noi non siamo ancora in grado di capire quale. La seconda cosa da sapere è che, nel suicidio in oggetto, le scienze sociali non consentono di individuare una causalità unilineare, o semplice e diretta, per farmi capire da tutti, del tipo: “Quella persona si è suicidata perché quella giornalista ha pubblicato un post su di lei”. Se valuto correttamente le informazioni emerse finora, i fattori causali minimi in questa tragedia sono almeno cinque:

1) In una prima fase, la donna è stata portata alle stelle da alcuni giornalisti e politici. In un dibattito pubblico di basso livello, cioè, basato su un processo dell’imputazione causale non corretto, i colpevoli sono i giornalisti e i politici che hanno reso celebre una persona priva della struttura della personalità per fronteggiare cotanta improvvisa popolarità

2) In una seconda fase, un blogger e una giornalista hanno condotto un’indagine su un post divenuto virale fornendo l’evidenza empirica per dubitare della sua veridicità

3) In una terza fase, l'odio social contro la donna è debordato

4) In una quarta fase, la donna è stata convocata in questura provocandole un’enorme pressione stressogena con conseguente alterazione dell’equilibrio cognitivo normale giacché l’intervento dell’autorità pubblica è sempre un fatto sconvolgente per una persona comune, soprattutto se questa teme che un suo comportamento non adeguato possa essere scoperto e perseguito penalmente. Una campagna social passa in pochi giorni, ma un’eventuale investigazione della polizia diventa un incubo senza fine. Trascurare la convocazione in questura nella dinamica che ha condotto all’auto-soppressione sarebbe un grave errore sociologico.

5) In una quinta fase i giornalisti che avevano portato la donna alle stelle l’hanno nuovamente intervistata sollecitandola a confessare il presunto falso. L’osservazione sociologica mostra che la donna era già visibilmente turbata durante quell’intervista che la portava dalle stelle alle stalle".

 

 

 

 

"Di chi è la colpa? - si domanda Orsini - In un dibattito pubblico di basso livello la colpa è di una sola persona che diventa il nuovo mostro. La tragedia sociologica di tutta questa storia è che quasi tutti hanno agito nel rispetto del proprio ruolo sociale. I giornalisti hanno svolto correttamente il proprio lavoro nel portare alle stelle una donna dal comportamento nobile. La giornalista ha svolto il proprio dovere professionale nel sottoporre a verifica empirica la veridicità del post. La polizia ha svolto correttamente il proprio lavoro nel convocare la donna in questura. I giornalisti hanno svolto il proprio dovere nel chiedere alla donna se avesse commesso un falso. Per “dovere”, mi riferisco a un comportamento “dovuto” in base al proprio ruolo sociale all’interno di un sistema complesso fatto di parti interconnesse. Chi non sta facendo il proprio dovere sono quei politici e giornalisti che, in queste ore, stanno cercando di scaricare tutte le colpe su una sola persona perché hanno dei conti personali da regolare con lei. Meglio dire vendette".

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