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Sanità, Giorlandino lancia l'allarme: "Così si rischia grosso, operatori in difficoltà"

Filippo Caleri
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C’è un rischio concreto di mandare la sanità italiana al tappeto. Sia quella pubblica sia quella privata convenzionata. Il pericolo arriva da un provvedimento sul tavolo del governo e, in particolare del ministro della Salute, Orazio Schillaci. Si chiama «Nomenclatore tariffario ambulatoriale» e fissa i prezzi dei rimborsi da parte dello Stato per le prestazioni diagnostiche. Un listino fermo da anni ora in fase di revisione. «Il problema è che l’aggiornamento è fatto al ribasso. In alcuni casi il taglio operato alle tariffe è talmente forte che si scende sotto la soglia del costo dei materiali utilizzati. Insomma chi ha investito per assicurare servizi ai cittadini rischia di essere costretto a fermare la propria attività» spiega a Il Tempo, Mariastella Giorlandino, imprenditrice del settore con i laboratori Artemisia Lab che, a seguito dell’allarme lanciato, è riuscita a compattare sotto un’unica associazione di rappresentanza, la Uap, le sigle più importanti del comparto.

Scusi i prezzi dei beni aumentano e lo Stato rimborsa meno. Sembra una contraddizione.
«Lo è, e quello che sta accadendo è anche rischioso. Si mette in pericolo una rete sanitaria a favore dei cittadini composta da oltre 10mila strutture sul territorio presenti da oltre 50 anni che erogano servizi essenziali per la prevenzione. Parlo di esami diagnostici, radiologici, biopsie, piccoli interventi e altri esami cruciali per tenere sotto controllo la salute di milioni di italiani».

 

 

Un sistema per il quale lei paventa dei rischi. Ci spiega perché?
«Tutto parte dal cosiddetto Nomenclatore tariffario. E cioè dell’elenco di prestazioni sanitarie e delle relative tariffe di riferimento. Su questi valori vengono calcolate le percentuali di rimborso da parte del sistema sanitario a chi eroga i servizi. Uno strumento del quale si attendeva l’aggiornamento sin dal 2017. Ora che è arrivato però si scopre che c’è una sottostima dei costi reali che va dal 20 fino all’80%».

Ci fa un esempio per capire meglio?
«Parliamo del pap-test, un esame fondamentale per la prevenzione della salute delle donne. Nel precedente tariffario l’esame veniva rimborsato con 11 euro. Nella nuova formulazione si otterranno solo 5 euro. Giusta la necessità di risparmiare risorse ma in questo caso chi eroga i servizi lavorerà in perdita. Cioè sopporterà un costo superiore a quanto incassato. Anche perché, nello stesso esempio, il prezzo finale deve far rientrare di quanto speso per l’ostetrica, il medico che referta l’esame, i materiali usati e le generali spese della struttura».

Cosa prevede?
«Se il governo non cambia idea si può innescare un processo distruttivo che colpirà non solo gli operatori privati ma anche il sistema pubblico. Il tariffario, così come elaborato, nuocerebbe in primo luogo alla qualità dei servizi offerti dai primi, ma il peso indiretto ricadrebbe anche sugli ospedali. Anche loro, infatti, per chiedere il rimborso delle spese si baserebbero su valori estremamente bassi. La differenza da coprire aumenterebbe il deficit nei conti delle strutture che, alla fine dovrebbe essere ripianato dallo Stato, dunque da tutti noi cittadini».

 

 

Cosa accadrebbe alla rete privata?
«Una gran parte non sarebbe più in grado di reggere rimborsi così bassi. E sarebbe un grande disastro. Ricordo che le strutture sull’intero territorio nazionale sono circa 10mila e con l’8% delle risorse soddisfano il 33% dei fabbisogni degli italiani. Oggi la loro funzione è fondamentale in un momento di crisi della sanità pubblica e di liste d’attesa lunghe e irrisolte».

Con quale logica sono stati fissati i prezzi del nuovo tariffario?
«Questo è un grande interrogativo. Non è chiaro quali parametri siano stati usati. Ritengo che uno dei problemi fondamentali sia quello della carenza cronica di dati sui quali basare il calcolo di tariffe rispondenti alla realtà».

Non avete messo a disposizione del ministero le vostre conoscenze su campo?
«Le associazioni non sono state contattate per esprimere la loro opinione e fornire indicazioni basate sull’esperienza reale. In quel caso avremmo dimostrato, sulla base di uno studio che elabora il costo del singolo esame tenendo presente tutti i fattori produttivi impiegati, l’assoluta insufficienza delle nuove tariffe proposte nel sostenere i costi reali nella maggior parte delle situazioni».

 

 

Cosa farete ora?
«Non siamo rimasti con le mani in mano. Questa situazione ha già determinato un’importante presa di coscienza della nostra categoria. Siamo riusciti a creare un unico organismo associativo di rappresentanza, la Uap, che sta per Unione ambulatori e poliambulatori. Vi hanno aderito realtà importanti del settore come Anisap, Associazione imprese sanitarie indipendenti, Confapi, FederLab Italia, Unindustria, Fenaspat e Federlazio. Un soggetto unico, dunque più forte, per interloquire con il ministro Schillaci».

La prima richiesta?
«Immediata sospensione del tariffario che entrerà in vigore nel 2024. E l’apertura di un confronto per offrire la nostra professionalità ed esperienza per trovare un giusto punto di equilibrio. Non vorremmo che tanti nostri colleghi, soprattutto quelli più piccoli, fossero costretti a chiudere i loro laboratori. Così a pagare il conto finale sarebbero anche i cittadini che perderebbero tanti punti di prossimità sanitaria nei loro quartieri».

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