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Putin, Paragone punta il dito contro l'Ue: è il compagno di banco che ha scelto

Gianluigi Paragone
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Le responsabilità di Vladimir Putin sulla morte di Alexey Navalny sono evidenti per il solo fatto delle condizioni di prigionia del dissidente politico. Questo tanto basta per non avere dubbi circa la lettura dei fatti. Inviterei tuttavia il fronte dei «buoni» a non insistere troppo nelle belle lezioni perché le democrazie non si sono fatte tanti scrupoli a eliminare gli avversari scomodi o direttamente o indirettamente; diciamo che cambiano i metodi. La questione principale resta la stessa: come pensiamo di uscire da una situazione che non conosce altre vie se non la vittoria militare o un tavolo di mediazione dove la Russia si dovrà alzare in condizioni di soddisfazione compatibili con i nuovi equilibri che la guerra ha creato. Per vincere militarmente dovremmo essere disponibili non solo a grandi sacrifici economici ma soprattutto a qualsiasi scenario che il piano inclinato delle guerre ci obbliga, non ultima un allargamento del fronte (per non dire, e dio non voglia, persino l’opzione nucleare). Per questo occorrerebbe insistere sulla mediazione.

 

 

Gli ultimi anni hanno dimostrato che Putin non si fa scrupoli. E qui bisogna abbandonare l’ipocrisia di chi oggi cerca di giustificarsi affermando che il presidente russo sia cambiato con l’invasione dell’Ucraina. Putin si sta soltanto muovendo nello scenario che aveva costruito decenni e decenni fa puntando sulla energy superpower. Ne ho scritto anche recentemente: l’Italia e l’Europa hanno accettato il gioco. Pensare di ridurre alla sola figura di Matteo Salvini o dei sovranisti l’anello debole è una presa per i fondelli: se qualcuno pensa che Putin avesse bisogno di costoro per esercitare una vera pressione politica allora non conosce i fatti per come sono avvenuti. Il legame sempre più stringente tra Putin e l’Europa va letto, per usare l’espressione di Alberto Clò (direttore della rivista Energia, nonché ministro dell’Industria nel governo Dini), nella logica del «ricatto del gas russo»: Putin aveva in mano le chiavi dei rubinetti di gas e petrolio con cui abbiamo fatto girare le industrie e ci siamo riscaldati a volontà e a prezzi bassi. Già ai tempi di Reagan l’America temeva l’eccessiva dipendenza dell’Europa rispetto al metano dell’allora Urss. Putin ha giocato la sua partita politica ribaltando ciò che Yeltsin aveva distrutto con le privatizzazioni e quindi riprendendosi il controllo di gas e petrolio e facendo di Gazprom e di Rosnef un braccio armato con l’obiettivo di riportare egli stesso e la Russia al centro della politica internazionale.

 

 

L’Europa (Germania, Francia e Italia in testa) ha scelto di legarsi all’erogatore russo in nome di scelte politiche di liberalizzazione, considerando l’energia un bene come tanti altri. Un errore? No, una scelta voluta e perseverata. L’Europa ha scelto Putin (litigando persino con gli Stati Uniti, che a quel punto progressivamente hanno usato la Nato come cane da guardia ai confini con la Russia; l’abbaiare della Nato, ricordate l’intervista di Papa Francesco?) affidandogli le chiavi delle reti energetiche. Il cordoglio e gli incontri con la vedova Navalny non cancellano le scelte politiche portate avanti da Bruxelles nonostante la Crimea o altre morti pesanti a partire dalla giornalista Politkovskaja nel 2006. Da allora tutti in Europa e in Italia proseguirono nelle scelte di «gemellaggio energetico», tutti! In Italia da Silvio Berlusconi a Enrico Letta passando per Mario Monti. Putin non ha mai nascosto di voler fare della Russia una «energy superpower», l’Europa lo ha accettato per suoi limiti politici e per convenienza. Pensava che Putin lo facesse per carità? Putin ora difende la sua idea di Russia, continuando a tramare, con minor potere contrattuale puntando su una globalizzazione asimmetrica che ha scombinato il vecchio ordine mondiale. Quel che accade sullo scacchiere dei Brics plus e dell’Opec plus ha più densità politica delle chiacchiere con cui portiamo avanti la retorica europeista, imbambolata tra politiche green e fanciulleschi sogni di pace (che passano dalle mani della Cina, di sceicchi e petrolieri).

 

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