Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Ucraina, gli aiuti servono più alla pace che alla guerra

Augusto Minzolini
  • a
  • a
  • a

Alla fine tutti e 27 i paesi dell'Unione europea hanno dato il via al programma di aiuti militari all'Ucraina per 50 miliardi. Il premier ungherese, Viktor Orban, si è piegato alle ragioni degli altri dopo aver bloccato il finanziamento a Kiev per mesi utilizzando esplicitamente o meno il diritto di veto. Per alcuni versi il vertice di ieri e Bruxelles, al di là della decisione collegiale, è di quelli che si ricorderanno perché ha aperto la strada ad un'Europa più coesa specie sui temi di politica estera e della difesa soprattutto per come la decisione è maturata. Di fronte all'ostinazione di Orban, alla minaccia di utilizzare il diritto di veto, il nucleo storico della Ue Germania-Francia-Italia ha utilizzato una minaccia ancor più pesante: se il leader magiaro avesse ancora insistito sulla presenza dell'Ungheria nell'Ue sarebbe stata congelata e, ovviamente, Orban avrebbe perso il diritto di voto e di conseguenza il diritto di veto. Insomma, in una fase internazionale drammatica, con un'Europa stretta tra due guerre, i Paesi guida della Ue hanno usato la bomba atomica per garantire la compattezza dell'Unione ne. Era ora.

 

 

Come al solito le svolte avvengono solo quando si arriva proprio sull'orlo del precipizio. E l'Unione mai come adesso aveva bisogno di un colpo di reni: il no agli aiuti avrebbe dato l'immagine di un'Europa divisa, bloccata da Putin attraverso Orban; si sarebbero materializzati gli incubi più oscuri che albergano nelle menti dei popoli dell'ex-unione sovietica, come l'ipotesi che rimbalza ogni tanto sui media di un'invasione russa dei Paesi baltici; infine, di fronte alla possibilità di un disimpegno americano con l'ipotetico ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca l'Unione sarebbe apparsa fragile e inconcludente, soprattutto, incapace di difendersi da sola. Tutti argomenti che ovviamente non passano neppure nell'anticamera del cervello dei pacifisti «tout court» di casa nostra. Quel Giuseppe Conte che usa il pacifismo spicciolo come argomento elettorale e in fondo in fondo spera nel ritorno di Trump. La Schlein che si barcamena tra l'anima di sinistra che sventola le bandiere arcobaleno e l'atlantismo dell'ala governativa del Pd. Da quelle parti la politica estera, purtroppo, è un tema identitario o strumentale. Critiche che non si possono muovere, almeno in questo campo, alla coalizione di governo che pur avendo delle differenze al proprio interno sulla crisi ucraina ieri ha visto Giorgia Meloni giocare con decisione una partita insieme al presidente francese Macron e al cancelliere tedesco Scholz per piegare le resistenze di Orban.

 

 

E che il ruolo del Premier italiano sia stato importante lo dimostra il fatto che Orban ha anche annunciato che entrerà nei conservatori europei, cioè nello stesso raggruppamento del Parlamento di Strasburgo a cui aderisce la Meloni. Ultima congettura: non è vero che gli aiuti forniti ieri a Kiev alimentino la guerra come sostiene qualche sprovveduto. Ormai l'esigenza di arrivare ad una tregua, ad un armistizio, ad un compromesso per silenziare le armi è condiviso da molti anche nel campo occidentale. Pure a Washington si ragiona su come garantire Kiev per il futuro, immaginando un ingresso dell'Ucraina nella Nato. Per cui, com'è giusto, siamo tutti pacifisti e la guerra non piace a nessuno. Solo che per raggiungere una mediazione in qualsiasi trattativa bisogna sedersi al tavolo in una posizione di forza. Mosca non può immaginare di aver vinto. Altrimenti Putin più che ad un compromesso punterà ad una resa dell’Ucraina. Quindi, potrà sembrare paradossale come molte cose nella vita, ma quei 50 miliardi che l'Europa si appresta a dare all'Ucraina servono più alla pace che non alla guerra.

Dai blog