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Legge sulle intercettazioni, il bavaglio è solo alla vanità dei pm

Giuseppe Benedetto
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Prima di Natale la Camera dei Deputati ha approvato a larga maggioranza un emendamento dell’onorevole Enrico Costa, al ddl di delegazione europea che recepisce la direttiva sulla presunzione di innocenza, emendamento che è subito stato ribattezzato da molti indignati, in particolare dalla Federazione nazionale della stampa, «provvedimento bavaglio». Comincio col dire che, per quanto mi riguarda, si tratta di un’assurdità. La norma reintroduce, fino alla conclusione delle indagini preliminari, il divieto di pubblicazione testuale, integrale o per estratto, dell’ordinanza di custodia cautelare, solitamente piena di intercettazioni, di informazioni da verificare e documenti penalmente non rilevanti. I giornalisti però potranno tranquillamente continuare a riportare, per sunto, i contenuti degli atti, come peraltro hanno sempre fatto fino al 2017, prima della riforma voluta dall’allora ministro della Giustizia, Andrea Orlando.

 

 

Dunque nessun cappio alla libertà di stampa, nessun rischio di emulare la Cina. Nel frattempo la discussione sulla legge di delegazione europea, e sul provvedimento in questione, è passata all’altro ramo del Parlamento. Come ho avuto modo di dire nei giorni scorsi in audizione in Commissione IV del Senato, «Politiche dell’Ue», non solo non si corre il rischio di mettere un bavaglio all’informazione, ma, al contrario, si tratta di una vera e propria norma di civiltà giuridica, che ha il nobile fine, prendo in prestito le parole dell’onorevole Costa, di limitare lo «sputtanamento mediatico» di cittadini indagati e non ancora rinviati neanche a giudizio. Stando ai dati riportati dal sito errorigiudiziari.com, negli ultimi trent’anni si sono registrati oltre trentamila casi di ingiusta detenzione, tutte persone che hanno ricevuto un’ordinanza di custodia cautelare, con intercettazioni e accuse rivelatesi poi errate, in alcuni casi pubblicate sui giornali, con un impatto significativo sulla reputazione degli indagati stessi e di terzi. Un’enormità a cui va posto un argine.

 

 

In uno Stato di diritto è fondamentale bilanciare il principio sacrosanto della presunzione di innocenza e l’altrettanto importante diritto di informare ed essere informati, e l’emendamento in questione rispetta perfettamente sia l’articolo 21 della Costituzione, secondo cui la stampa non è soggetta a censure, sia l’articolo 27 della Carta, che vede l'imputato non colpevole sino alla condanna definitiva. Ora, voglio aggiungere un’altra cosa. Capisco le critiche da parte dei giornalisti, le capisco ma non le condivido, quello che però non comprendo è il perché alcuni Pm si scaglino con tanta veemenza contro questa norma. Dovrebbe essere infatti interesse di chi conduce le indagini non diffondere le notizie, almeno nelle fasi più delicate. Temo purtroppo che queste polemiche siano legate a uno smisurato desiderio di visibilità dei Pm e temo anche che siano figlie di un’altra recente novità legislativa: quella che non consente più loro, se non in casi eccezionali, le tanto amate conferenze stampa, sostituite oggi dalle più sobrie comunicazioni del Procuratore Capo. 

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