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Amato, un Paese senza un giudice a Berlino

Augusto Minzolini
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Si possono esprimere dalle opinioni diverse fino alle critiche più dure nei confronti di Giorgia Meloni. Ci mancherebbe altro. Ad esempio, almeno per ora, sulle tasse da un governo di destra -centro ci si sarebbe aspettato qualcosa di più per il già tartassato ceto medio. Come pure sarebbe stato meglio impuntarsi nella trattativa sul nuovo di patto di stabilità con Germania e Francia che non sul Mes. O, ancora, è paradossale sostenere che nella riforma del premierato presentata dal governo il Capo dello Stato non perda qualche prerogativa: se così fosse, se nel nuovo quadro istituzionale ci fosse ancora posto per governi del Presidente sostenuti da maggioranze diverse da quelle uscite dalle urne, allora non si capirebbe davvero lo scopo della suddetta riforma. Insomma, ogni riserva è lecita. Non è, invece, legittimo adombrare ogni piè sospinto un svolta autoritaria nel Paese, il fatto che con il destra -centro al governo si riducano spazi di libertà e di democrazia. Questa è una tesi ingiustificata e purtroppo ricorrente a sinistra. Ultimo a sostenerla è stato l’ex-presidente della Corte Costituzionale e già dott. Sottile, Giuliano Amato, il quale non esclude che la Consulta possa finire nel mirino dell’attuale maggioranza di governo come in Polonia o in Ungheria: «Da noi è ritenuto inconcepibile, ma potrebbe accadere».

 

 

La «ratio» di Amato è un pò semplicistica e di parte. Eccola per sommi capi: avendo la Meloni nei suoi discorsi criticato e «additato ai suoi elettori come nemici» i percettori del reddito di cittadinanza, i migranti che occupano abusivamente le case popolari, il femminicida che viene rimesso in libertà dopo appena sei anni dei galera perché obeso, visto che la Corte non può non essere espressione di garanzia anche per queste minoranze, finirà nel mirino del governo e della sua maggioranza. Già, di per sè il ragionamento dell’ex-Presidente della Consulta è capzioso e svela un pregiudizio: la Corte è chiamata a pronunciarsi su fattispecie precise, determinarne un orientamento generale significa assegnargli un ruolo politico. Quello che spesso ha avuto in passato quando, appunto, l’orientamento dei giudici togati pendeva a sinistra. Ora Amato mette le mani avanti e vuole che quell’orientamento non muti. Il perchè lo ha spiegato la stessa Meloni: «Siccome entro il 2024 il Parlamento che oggi ha una maggioranza di centrodestra deve nominare quattro giudici della Consulta ci sarebbe e il rischio di una deriva autoritaria».

 

 

Il dott. Sottile smentisce questa interpretazione ma è evidente che la sua levata di scudi nasca implicitamente dal timore che la Consulta cambi orientamento e ciò svela come anche organi che sulla carta dovrebbero essere templi dell’imparzialità, che dovrebbero misurare «in primis» la compatibilità di atti e provvedimenti con il dettato costituzionale, siano stati utilizzati in passato anche per garantire una visione politica. Non è una novità ma almeno prima i veli del galateo istituzionale e un pizzico di salutare ipocrisia coprivano questa realtà. Ora il botta e risposta tra Amato (e le sue conseguenti dimissioni da una Commissione insediata dalla Presidenza del Consiglio) e la Meloni l’hanno messa a nudo. Solo che la Consulta non dovrebbe avere un orientamento politico e, soprattutto, non dovrebbe essere concepita come un’arma contro il governo da un’opposizione che non riesce a svolgere adeguatamente il proprio ruolo. Un «retropensiero» che purtroppo emerge in questa polemica e «in primis» nelle parole dell’ex-Presidente della Consulta. Gettando un’ombra anche sull’istituzione che dovrebbe garantire quella stessa imparzialità che il mugnaio di Potsdam pretendeva dal giudice di Berlino.

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