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Nel Paese delle follie fiscali

Augusto Minzolini
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Aneddoto personale. Vicenda di qualche anno fa. Multa per eccesso di velocità del comune di Capalbio. Pagata. Nel Paese in cui ogni cittadino fa due lavori (il primo per sopravvivere, il secondo per stare dietro alle incombenze della pubblica amministrazione) devi trasmettere il nome del conducente per la sottrazione dei punti della patente. Fatto. Eppure un anno dopo arriva una multa dal Comune che sostiene di non aver ricevuto il nominativo. L’avvocato (per sopravvivere alla burocrazia in Italia devi sempre avere un avvocato) trasmette la pec che prova l’avvenuta comunicazione. Ma il Comune fa finta di niente. L’anno dopo arriva di nuovo e poi ancora, sempre la stessa ma con importo ogni volta più alto (630 euro).

La diatriba si ferma quando il legale trasmette nuovamente la prova che il nominativo era stato comunicato nei tempi dovuti e minaccia una denuncia alla Corte dei Conti: nella sua persecuzione immotivata, infatti, il Comune di Capalbio spreca soldi del contribuente. A quel punto la questione si risolve con tanto di scuse dell’amministrazione. A una persona anziana, magari senza avvocato, sarebbero stati estorti 630 euro senza ragione: naturalmente attraverso una cartella esattoriale.

Ecco in un Paese che muore di burocrazia, dove l’agenzia delle Entrate si diverte a far fioccare cartelle esattoriali, nella bozza della legge di stabilità il governo ha immaginato di dotare il fisco del potere di prelevare i soldi dei contenziosi direttamente dai conti corrente del contribuente. Fortunatamente Palazzo Chigi ha poi rassicurato che ciò mai avverrà. Anche perché altrimenti il governo di centro-destra avrebbe varato un provvedimento che neppure Vincenzo Visco (ex ministro delle Finanze della sinistra, ribattezzato all’epoca il «vampiro») riuscì a concepire: o meglio ci provò, invano. Saremmo in pieno socialismo reale. Il problema non è quello di difendere gli evasori, perché gli evasori, quelli veri, la denuncia dei redditi non la presentano affatto.

La maggior parte delle cartelle esattoriali, infatti, riguarda la difficoltà del contribuente di interpretare le regole di un sistema fiscale iniquo e, spesso, ai confini della follia. O le contravvenzioni per la violazione del codice della strada che le amministrazioni locali hanno trasformato (c’è una pubblicistica infinita ormai sull’argomento) in una tassazione mascherata. Un’operazione del genere sarebbe già fuori dal mondo, se poi non fosse accompagnata da un condono che segni un «punto a capo» è addirittura demenziale. Inoltre se si aggiungesse alla rottamazione che parte proprio ad ottobre, beh, saremmo finiti sul pianeta dell’assurdo: immaginate un contribuente che deve pagare le tasse, che ha rateizzato il contenzioso della rottamazione e che si vede prelevare dall’agenzia delle entrate per le cartelle in itinere (in questo Paese se lavori non finisci mai di avere questioni con il fisco) i soldi direttamente dal conto corrente.

Nessuna meraviglia se poi quel cittadino odierà il fisco e lo Stato. E se - va aggiunto - non vorrà più sentir parlare neppure in ostrogoto di un centro-destra liberale. Eh sì, perché non va dimenticato che una delle «constituency» dell’attuale maggioranza di governo, se non la principale, guarda proprio come argomento prioritario ad un fisco più giusto. Questa vicenda insegna che quando si affrontano tematiche legate al fisco bisogna essere estremamente prudenti. Dare all’agenzia delle entrate simili poteri equivarrebbe consegnargli anche la possibilità di condizionare il consenso.

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