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Riforma del mercato elettrico europeo, una partita che può decidere la competitività del sistema Italia

Gaetano Massara
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Il 14 settembre scorso il Parlamento europeo ha approvato la proposta di riforma del mercato elettrico europeo. La posizione dell’Eurocamera ricalca in gran parte quella contenuta nella proposta presentata dalla Commissione europea in marzo. Tuttavia, la spaccatura determinatasi in fase di voto con soli 366 eurodeputati favorevoli e 186 contrari testimonia dei confligenti interessi degli Stati membri in una materia determinante per la competitività delle industrie nazionali come quella energetica. La necessità di una riforma è stata invocata da molti in risposta alla crisi energetica innescata da tre eventi concomitanti che nel 2022 hanno portato i prezzi dell’elettricità alle stelle: la rinuncia al gas russo, la scarsa produzione idroelettrica causata dalla siccità estiva e la ridotta produzione elettrica francese dovuta alla manutenzione degli obsoleti impianti nucleari transalpini. Le proposte della Commissione danno seguito al “Pacchetto energia pulita” del 2019 per proteggere i consumatori vulnerabili, sostenere le risorse non fossili e stabilizzare i prezzi a lungo termine.

Tra le misure approvate da entrambi gli organi europei non vi sono solo il divieto di staccare le forniture agli utenti vulnerabili e l’eliminazione del tetto ai ricavi dei produttori di elettricità da fonte rinnovabile o nucleare (misura fortemente voluta dalla Germania e che reintroduce il meccanismo di mercato dell’incentivo agli investimenti in impianti con costi marginali molto più bassi rispetto alle centrali a gas). Sono anche previsti due strumenti per consentire la stabilità e prevedibilità dei prezzi di lungo termine: i PPA, contratti di compravendita di elettricità tra produttori e grandi consumatori, e i contratti per differenza (CfD), in cui vengono fissati un prezzo minimo e uno massimo in modo che lo Stato sussidi o tassi rispettivamente l’eventuale differenza con il prezzo di mercato. Però, mentre il testo della Commissione consente la stipula di CfD, e quindi di beneficiare di sussidi, anche da parte di operatori di impianti nucleari esistenti e ammodernati, il testo del Parlamento pone vincoli a tale possibilità. Ciò limiterebbe fortemente la possibilità del colosso francese EDF di finanziare il prolungamento della vita utile della propria vetusta flotta di centrali nucleari. Per questo motivo il blocco dei contrari nell’Europarlamento ha unito un fronte trasversale comprendente la Gauche francese e perfino gli eurodeputati francesi del PPE e di Renew oltre ai partiti di destra (ID, ECR). Sempre per questo motivo la ministra dell’energia francese Pannier-Runacher ha minacciato di attivare «strumenti che ricadono nell’eclusiva competenza delle autorità francesi se le trattative non dovessero giungere ad un risultato soddisfacente per Parigi». Grazie alle sue 56 centrali nucleari, la Francia è un esportatore netto di elettricità, venduta anche all’Italia che ne è invece un importatore netto.

I ministri dell’energia dei 27 si incontreranno a metà ottobre per cercare di raggiungere un compromesso. La Francia non sembra essere spalleggiata dai Paesi dell’«alleanza nucleare». Dopo aver disinnescato, anche grazie all’azione dell’Italia, il rischio dell’obbligatorietà dei CfD con la motivazione che essi creerebbero distorsioni di mercato, Germania, Austria, Lussemburgo e altri Membri cercano di rimandare alla prossima eurolegislatura una riforma di regole che essi trovano corrispondenti ai propri interessi. Gli esiti della disputa in corso a Bruxelles potrebbero mutare gli equilibri di forza/vulnerabilità energetica attuali tra Paesi. Per questo motivo ad un Paese come il nostro che (ancora) non ha centrali nucleari da ammodernare non conviene sostenere misure che prolungherebbero la condizione di dipendenza dai suoi fornitori. Intanto, il lancio da parte del governo Italiano della Piattaforma nazionale per il nucleare sostenibile con l’obiettivo finale della costruzione di Piccoli Reattori Modulari e centrali di quarta generazione è una decisione che va nella direzione della indipendenza energetica italiana. E’ poco probabile che la Spagna, presidente di turno dell’Ue e che si era battuta per il mantenimento del tetto al prezzo dei ricavi degli impianti, riesca a facilitare un accordo entro la fine dell’anno, anche in considerazione della controversa richiesta della Polonia di una proroga oltre il 2025 dei sussidi agli impianti a carbone. E’ forse più probabile che la prossima presidenza belga dell’Ue cerchi di condurre in porto una riforma parziale lasciando la soluzione di questioni come il capacity market agli organi comunitari che emergeranno dopo le elezioni.

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