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Bce, l'ultima assurdità di Lagarde: sequestra i cellulari al board

Alessandro Usai
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Ci mancava l’ennesima sceneggiata dell’ineffabile Christine Lagarde. Immaginate la riunione del direttivo della Bce. Immaginate 26 distinti consiglieri, tra cui i banchieri centrali. Immaginateli mentre entrano nella stanza e vengono fermati sulla porta. Motivo? Dovevano consegnare i loro cellulari per evitare fughe di notizie. Trattati come dei monelli qualunque. Perché tanta premura? Si doveva procedere alla nomina della tedesca Claudia Buch come capo della vigilanza al posto dell’italiano Andrea Enria. Via i telefonini, via il dolore. Lagarde si è voluta togliere il dente delle soffiate alla stampa, facendo restituire i cellulari solo alla fine della riunione. Complottismo? Manie di controllo? Sindrome di accerchiamento? No, semplicemente Lagarde. Un nome, una garanzia. Un metodo. Il suo. Come quello del decimo rialzo consecutivo dal luglio 2022 dei tassi di interesse. Si fa così e basta. Tutti zitti e seduti. E pazienza se l’effetto è deprimere l’economia. Tanto a che serve consumare o comprare i telefonini? La maestra li sequestra.

 

 

Ma almeno la battaglia della Lagarde sull’inflazione è vinta. O meglio, non ancora. Sebbene in calo, l’indice dei prezzi nella zona euro è pari al 5,3% ad agosto, secondo le stime provvisorie di Eurostat, superiore al 2% che la Bce ha come traguardo. Inflazione che scende poco, economia che cala tanto. Bell’affare. Se fosse solo un gioco tra grandi non ci sarebbero problemi. Invece questa ostinata politica restrittiva la paghiamo tutti. Un piccolo esempio pratico: il rialzo di 25 punti base dei tassi dal 4,25 all’attuale 4,5% pesa per circa 20 euro mensili sulla rata di un mutuo per ogni 100mila euro di debito residuo. Grazie Lagarde. Un bel regalino per le famiglie italiane.

 

 

Allargando il discorso ai titoli di Stato, scopriamo che i Btp decennali viaggiano verso un rendimento del 4,5%. Ciò vuol dire che il nostro debito costa di più e come ha confermato il ministro Giorgetti nei giorni scorsi, avremo 14 miliardi di euro in meno in manovra da poter spendere per sostenere famiglie e imprese. Quei soldi dobbiamo pagarli per i maggiori interessi sul debito. Non va meglio per i prestiti. I tassi d’interesse alle imprese hanno già superato il 5%. Lo scorso anno erano circa all’1%. Così le aziende chiedono meno credito, rinunciando agli investimenti e allo stesso tempo le banche, temendo maggiori difficoltà di rimborso, tendono a concedere meno finanziamenti. Il risultato è che a luglio i prestiti alle società non finanziarie sono diminuiti del 4%. Non un bel segnale per il sistema Italia. Forse nelle forbite analisi soprattutto di alcuni politici si dovrebbe tener conto di questi meccanismi. Le politiche monetarie vengono decise a Francoforte dove c’è una maestra che gioca con i telefonini. Gran parte dei problemi partono da lì. Qualcuno dovrebbe farle uno squillo.

 

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