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Dossieraggio arma politica impropria: perché è una questione terribilmente seria

Cicisbeo
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Il dossieraggio è da sempre un’arma politica impropria per condizionare governi e Parlamenti e chi ha studiato la storia della Repubblica sa che esistono ambulacri reconditi delle istituzioni che manovrano, manipolano e veicolano informazioni, spesso più farlocche che vere, a certi quotidiani in vena di facili scoop. L’affaire denunciato dal ministro Crosetto però contiene aspetti più inquietanti del solito, visto che sfiora due sancta santorum come Bankitalia e la Direzione Nazionale Antimafia. Da quanto è finora emerso, nel mirino sarebbero finiti presidenti del consiglio, ministri, giornalisti, pezzi di classe dirigente, con più di un sospetto che qualche velina sia stata fatta uscire a orologeria per condizionare la formazione del governo Meloni. Insomma: pezzi deviati dello Stato avrebbero agito contro le istituzioni e la politica. Dunque è legittimo chiedersi prima di tutto «cui prodest?», e quindi se il finanziere indagato si muoveva nell’ambito istituzionale e che ruolo aveva il magistrato coinvolto. A questo dovrà rispondere l’inchiesta di Perugia, ma c’è un altro interrogativo che attiene alla nostra stessa libertà: già con l’utilizzo dei trojan l’intrusione nelle nostre vite ha raggiunto livelli tali da far impallidire la profetica fantasia orwelliana, ma ora con l’arrivo dell’intelligenza artificiale in quale abisso sprofonderemo? Senza nuove regole cogenti, e senza imporre il rispetto di quelle già esistenti, c’è il rischio concreto di spostare la democrazia su un asse inclinato in cui chi controlla dati e informazioni sensibili detiene il vero potere a scapito della volontà popolare.

 

Ma c’è anche un’altra domanda che meriterebbe risposte urgenti e soprattutto convincenti: si discute da decenni sull’obbligatorietà dell’azione penale usata troppo spesso come usbergo per nascondere di fatto una sconfinata discrezionalità d’indagine da parte delle Procure. Ebbene, a maggior ragione è lecito chiedersi con quale criterio pm e finanzieri hanno pescato tra le 155 mila segnalazioni sospette arrivate dalle banche nel 2022. In base all’entità dell’importo o al nome più o meno noto del segnalato? Oppure in base all’appartenenza politica? E all’interno della Dna si era creata una struttura di intelligence finanziaria «extra legem» che confezionava dossier per indirizzarli a quotidiani «amici»? Qualche traccia evidente di questo brutto andazzo esiste eccome: alla Lega, ad esempio, ricordano molto bene le accuse di riciclaggio uscite due anni fa a tutta pagina su alcuni giornali sulla base di segnalazioni di Bankitalia trafugate illegalmente senza che fossero ancora arrivate alla Procura di Milano, essendo ancora custodite – si fa per dire – nel fortino inviolabile – si fa ancora per dire – dell’Unità di informazione finanziaria per l’Italia di Bankitalia. Ecco: serve altro per dire che il pasticciaccio brutto del finanziere in forza alla Dna non è il «caso Watercloset» su cui ironizza Travaglio, ma qualcosa di terribilmente serio?

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