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Crisi Ucraina, meno si parla di pace e più si fa la guerra

Gianluigi Paragone
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Tentazione bavaglio, titolava ieri Repubblica. Il bavaglio sarebbe quello che il governo vorrebbe mettere a danno dei magistrati e dei giornalisti; il solito tema è quello delle intercettazioni, il cui peso nella cattura del boss Matteo Messina Denaro è stato notevole. Ovviamente il bavaglio di cui si sta parlando è il solito piagnisteo di un giornalismo ormai inefficace a compiere ciò che dovrebbe essere nelle sue corde, ovvero informare.

Sono anni e anni che il giornalismo si autocensura, preferendo prestarsi al racconto più conveniente per tirare a campare. L’Europa accolta come la manna piovuta dal cielo per sfamare gli italiani flagellati dalla Italietta della lira e delle caste; la finanza come materia incandescente da evitare perché altrimenti editori e banche si sarebbero arrabbiati; l’obbligo vaccinale da santificare senza ombre e pazienza se qualcuno sta morendo di cuore inspiegabilmente o se qualche reazione da vaccino forse ci sarà stata, signora mia, ma che potevano fare: sono stati i grandi temi del recente passato su cui era meglio accodarsi tanto più se il celebrante del rito collettivo si chiamava Mario Draghi. E che volevi metterti contro una persona così brava, di alto profilo, che tutto il mondo ci invidia e che in nome del Sapere assoluto governerà su un Paese di incapaci, corrotti e fessi? Quindi, salamelecchi infiniti, a SuperMario anche se tutti ‘sti miracoli non li abbiamo visti. In ultimo, il bavaglio dell’omologazione è stato ben praticato sul tema della guerra in Ucraina dove il raccontone unico di giornali e tv ricalca lo schema di sempre: la tesi del Bene e del Giusto raccontata all’infinito e se qualcuno fa il guastafeste ecco che diventa putiniano, megafono del Cremlino, o il cinico che non vede la sofferenza del popolo ucraino.

Un canovaccio che abbiamo visto sull’Europa (chi si oppone è sovranista o un nostalgico della liretta), sul Mes (una boccata di ossigeno senza la quale saremmo morti: dove volete andare da soli?), sull’obbligatorietà vaccinale (siete contro la scienza e no vax). Fatto sta che i mesi passano e mentre noi siamo qui ancora zuppi di retorica, di mediazione non si parla da tempo. Di contro si comprano armi da inviare al Buono. Il quale è talmente buono da usare le corde giuste. «Centinaia di ringraziamenti non sono centinaia di carri armati. Vi chiedo di fare presto. Abbiamo bisogno di carri armati, jet F-16, missili a lunga gittata. Ma ci servono subito». E come se non bastasse per implementare altre armi da spedire alla causa ucraina se ne esce con un «Tutti noi possiamo usare migliaia di parole nelle discussioni, ma io non posso usare le parole invece delle armi».

Qualcuno a un certo punto dovrebbe cominciare a dire che le migliaia di parole sono fondamentali per cercare la mediazione e l’intesa su come uscire. Di contro le armi incendiano il conflitto col rischio di allargarlo con esiti che nessuno può prevedere. In Germania la resistenza i suoi Leopard 2, armi di un certo impatto, li tiene. E tiene su una popolazione che non vuole l’allargamento del conflitto.

Una posizione condivisa anche dagli italiani nonostante il lavaggio del cervello di un giornalismo ormai propaganda. Bene hanno fatto pertanto alcuni inviati di guerra a scrivere una lettera chiara sulle falsità e mistificazioni che stanno montando senza possibilità alcune di un altro punto di vista. Ognuno ha paura della guerra; la pace era uno degli asset dell’Unione europea. Non sempre è stato così fin da subito, ora è evidente con le spese militari che i governi stanno sostenendo per respingere Putin, al netto di ogni altra considerazione politica su un punto di equilibrio. A che mediazione si può arrivare quando si sente ancora parlare di spazi aerei da concedere, e quando si prosegue periodicamente con l’acquisto e l’invio di armi. Col paradosso che però i pezzi pregiati restano in casa (i gioielli di famiglia, gli M1 Abrams americani e i Leopard 2 tedeschi, restano fuori dal pacchetto) e che la durata del sostegno è a termine. Il direttore della Cia Burns infatti con Zelensky è stato chiaro: quando finiranno i 45 miliardi di dollari stanziati dal Congresso alla fine del 2022, sarò un problema convincere la Camera a maggioranza repubblicana a procedere con una guerra che Biden vuole più di altri, anche per suoi motivi elettorali.

Dunque? Per quanto tempo possiamo andare avanti con la favola che Putin sta morendo, che i russi sono ormai vicini alla resa (adesso però ci dicono che bisogna mandare più armi perché gli ucraini sono in sofferenza) e che nessuna mediazione sarà possibile senza la piena soddisfazione di Zelensky? Ecco, questo è un ottimo modo per continuare la guerra. Che forse, in tempi di crisi, è ciò che conviene ai pochi che contano. Cioè a coloro che in ogni emergenza o crisi hanno aumentato i loro profitti.

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