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Matteo Messina Denaro, la vittoria dello Stato ci rende tutti più liberi

Mario Benedetto
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È la cattura dell'ultimo capo di una delle peggiori tribù mai esistite, quella di una realtà di primo piano della criminalità organizzata come Cosa nostra. Matteo Messina Denaro era l'ultimo degli «stragisti» in circolazione, protagonisti di quella mafia che aveva affrontato in modo violento lo Stato. Continuando nell'ombra le sue attività criminali e illecite. Che oggi ricevono un colpo durissimo. Messina Denaro è stato condannato all'ergastolo per la strage di Capaci, è ritenuto responsabile di quelle dei Georgofili a Firenze e di via Palestro a Milano, entrambe nel 1993. Porta a lui la responsabilità dell'attentato a Maurizio Costanzo, nello stesso anno, in via Fauro a Roma. Vite spezzate e terrore seminato, si scoprì, mentre soggiornava, come un benestante qualsiasi, a Forte dei Marmi. Questi sono solo alcuni tra i più eclatanti crimini del boss, nel cui curriculum criminale si annoverano brutalità come l'omicidio di una donna incinta, strozzata con le sue mani. Era la moglie di un rivale, anch'egli eliminato. Sempre lui è l'ideatore del rapimento del piccolo Giuseppe Di Matteo, strangolato e sciolto nell'acido per indurre il padre al silenzio.

 

 

 

Sarebbe lunga la lista di efferatezze che compongono l'identikit del criminale di cui finalmente tutti abbiamo visto il volto, circondato dalle divise dei Carabinieri. È il sudore di questi uomini che va ricordato. Uomini che sacrificano la loro vita, sottraggono tempo agli affetti per raggiungere obiettivi come quello di oggi. Che sono loro e di tutti. Che diventano storia. C'è anche chi ha avuto il coraggio di dire che si tratti una vittoria a metà, perché solo dopo trent'anni un latitante è stato preso nella sua città. Senza sapere in cosa consista il lungo, attento e rischioso lavoro che porta a risultati di questo tipo. Difficile comprendano, specie se si tratta, con rispetto per il lavoro di tutti, di chi al massimo sbaglia la battuta su un palco. Che non equivale proprio a rischiare di prendere pallottole. Non sanno cosa significhi scovare, anche nel giro di pochi chilometri e nella sua terra, uno degli uomini più temuti e protetti non in Sicilia, ma nel mondo. Reti di protezione invisibili, che sembrano quasi inesistenti, per il semplice fatto che il latitante non abbandoni il suo territorio. Fatto di strade, isolati e rifugi che lo nascondono, in realtà, meglio di come riuscirebbe a fare una lingua di terra nell'emisfero opposto del pianeta. Ma questo ad alcuni commentatori non è noto, né chiaro. Poco importa.

 

 

Le immagini che contano sono quelle dei palermitani, degli italiani, che applaudono e stringono in un abbraccio gli uomini con il mephisto e in divisa. Li abbracciano perché da oggi li hanno resi, ci hanno resi, tutti più liberi. Oggi abbiamo un motivo vero per festeggiare tutti insieme, oltre ogni fazione o divisione tribale. È stata vinta una battaglia tra le più importanti, di una guerra che continua. Ma oggi abbiamo un motivo in più per credere e sperare di poterla vincere.

 

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