il commento

I troll della Russia hanno ripreso la guerra “sporca” sui social

Riccardo Mazzoni

L'attacco missilistico su Kiev e su altre città ucraine, rappresaglia di Mosca contro il blitz che ha colpito il ponte che collega Crimea e Russia, ha provocato un'escalation collaterale anche sul web, dove i sostenitori di Putin hanno rialzato la testa dopo i rovesci militari delle ultime settimane. I social sono ormai da anni una potente risorsa di propaganda del Cremlino, attraverso la continua creazione di nuovi account e di profili non autentici utilizzati per destabilizzare le democrazie occidentali e ora impegnati a difendere le ragioni della guerra di denazificazione dichiarata da Putin. Ieri su Twitter sono stati presi di mira giornalisti e politici schierati al fianco dell'Ucraina, i cui messaggi di indignazione per i bombardamenti di ieri sono stati sistematicamente tempestati da messaggi tutti dello stesso tenore, che rimandavano alle bombe della Nato su Belgrado, alle guerre americane e alle malefatte dell'Occidente. A chi, ad esempio, giudicava in malafede mettere sullo stesso piano l'attacco lanciato a notte fonda contro un ponte costruito su un territorio occupato e le bombe lanciate all'ora di punta su un parco giochi di Kiev, la contraerea social filorussa ha opposto subito una fantomatica mappa secondo cui sotto quel parco per bambini si nascondeva un obiettivo militare.

 

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Lo scopo del martellamento in atto è chiaramente quello di aprire varchi in quella parte di opinione pubblica in apprensione perle conseguenze economiche della guerra, per il caro bollette e per il rischio di un inverno al freddo, descrivendo Zelensky come «un neonazista cocainomane» che starebbe portando, come un pifferaio magico, l'Europa al disastro e il mondo sull'orlo di un conflitto nucleare. «Fino a quando seguirete le sue follie?», è il refrain. Insomma: sarebbe la follia di Zelensky, e non l'imperialismo di Putin, a portarci verso l'Armageddon, con i social trasformati in una sorta di megafono del Cremlino. Emblematico, in questo clima da caccia alle streghe, il caso della giornalista Marta Ottaviani, autrice del libro «Brigate russe», un'accurata indagine sulla guerra occulta di Mosca fra troll e hacker, che è stata vittima negli ultimi giorni di una vera e propria macchina del fango culminata in un tweet falso creato ad hoc per screditarla, non ritenuto però dal sistema di controllo una violazione delle regole della community. «I social gestiti così sono parte del problema» - ha commentato amaramente, sollevando così il problema del complice lassismo che consente a falsificatori e insultatori di professione di imperversare a loro piacimento attraverso shitstorm e divulgazione di informazioni personali.

 

 

Ma i social sono solo lo specchio di uno scontro ideologico che ha radici lontane e resta vivo sotto la pelle di un Paese in cui le pulsioni antioccidentali restano fortissime, anche se nascoste sotto le insegne del pacifismo. È sconfortante, ad esempio, il mix di banalità e malafede di certi autorevoli cinguettii secondo cui «non ci sarebbero bombe giuste e bombe sbagliate, attentati giusti e attentati sbagliati, perché la guerra porta morti, odii e distruzione sempre, col pistolotto finale che bisogna fermare tutte le guerre. Queste finte anime belle chiedono di «fermare la spirale di violenza» senza mai specificare però che la violenza da fermare è solo quella del tiranno che ha scelto di invadere un Paese sovrano e che ora ha ordinato una strage di civili in risposta all'«attacco terroristico» contro un ponte strategico. Ma se attaccare un ponte in Crimea - regione ucraina illegalmente occupata - per fermare la linea di rifornimento all'esercito russo è terrorismo, lanciare più di ottanta missili da crociera e balistici su città, persone e infrastrutture civili cos'altro è se non terrorismo di Stato? A fronte di questa realtà difficilmente confutabile, il putinismo che imperversa sui social oppone un'offensiva ideologica sempre più serrata, che dimostra quanto sia pericolosa la guerra ibrida di Mosca per destabilizzare le democrazie occidentali.