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Sinistra incosciente, l'Italia deve evitare un'altra crisi come quella del 2011

Riccardo Mazzoni
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Possibile che in Italia, dopo due crisi epocali come la pandemia e la guerra e nonostante quasi due anni di unità nazionale, alla prova dei fatti tutto resti immutabile? Il passaggio delle consegne, prima di tutto: la media delle precedenti diciotto legislature è di un mese e mezzo tra la data del voto e il giuramento del governo, con i record contrapposti del Conte I (89 giorni) e del Berlusconi IV, che giurò 24 giorni dopo le elezioni. Un precedente che sarebbe stato auspicabile seguire, viste le drammatiche emergenze che il nuovo governo sarà chiamato ad affrontare. Invece ci sono volute due settimane per la proclamazione degli eletti, a causa del cervellotico flipper azionato dalla legge elettorale, e il nuovo Parlamento si riunirà per la prima seduta soltanto il 13 ottobre.

Poi, ammesso che i nuovi presidenti di Camera e Senato vengano eletti alla prima votazione, seguiti a ruota dalla costituzione dei gruppi parlamentari, potranno subito iniziare le consultazioni al Quirinale e arrivare così all'incarico di formare il nuovo governo che dovrà prima giurare e poi ricevere la fiducia da entrambe le Camere.

Ergo: al Consiglio europeo del 20 ottobre l'Italia sarà rappresentata dal premier uscente, e per avere il nuovo esecutivo nella pienezza delle sue funzioni passerà ad andare bene un mese dal voto del 25 settembre. Tutto secondo le regole e la prassi, s' intende, ma con una procedura tanto ineccepibile quanto inadeguata alla gravità dei tempi. Si avanza lento pede in una terra di nessuno mentre gas, energia e bollette impazzite fanno strage di aziende, occupati, artigiani, risparmi familiari e si moltiplicano i sintomi di una crisi sociale senza precedenti.

Ma come se nulla fosse, sui media imperversa il solito totoministri, il Pd si accapiglia sull'eredità di Letta e sulla questione femminile e l'intellighenzia di sinistra non trova di meglio che rilanciare l'allarme per la deriva autoritaria in atto col centrodestra alla guida del Paese. Non solo: gli echi di queste preoccupazioni rimbalzano anche nelle dichiarazioni di qualche solerte ministro straniero che si erge a vigilante della difesa dei diritti in Italia e, addirittura, nelle parole improvvide dello stesso Biden in ansia per le elezioni di mid-term.

Sembra di respirare di nuovo, insomma, il clima del 2011, quando Berlusconi, l'ultimo premier espresso dalla volontà popolare fu costretto a dimettersi senza essere stato mai sfiduciato dal Parlamento e i sorrisi a mezza bocca del duo Merkel-Sarkozy fecero il giro del mondo mettendo l'Italia alla berlina.

Ebbene: ora come allora la sinistra fa da sponda a queste entrate a gamba tesa sulla nostra sovranità nazionale scommettendo sul crac della nuova maggioranza nella speranza di tornare ancora una volta surrettiziamente in gioco. Anzi: il segretario del Pd è arrivato perfino ad auspicare le elezioni anticipate, nonostante dalle urne sia uscita una chiara e inequivocabile maggioranza in entrambi i rami del Parlamento, mentre Conte, l'avvocato del popolo, deposta la pochette ha lanciato un'opapolitica e personale sulle mobilitazioni di piazza annunciando peraltro sfracelli se verrà toccato il reddito di cittadinanza. Il pregiudizio ideologico nei confronti di un governo che deve ancora giurare è insomma l'ultima frontiera degli autodichiarati difensori della democrazia che però non riconoscono la legittimità del responso popolare, ossia la base stessa della democrazia.

Tanto peggio tanto meglio, secondo un canovaccio tanto consueto quanto pericoloso, perché mai come in questo momento storico sarebbe indispensabile un confronto serrato ma leale tra maggioranza e opposizione. Invece si assiste ancora una volta al triste teatrino della delegittimazione preventiva, e a questo composito fronte dell'irresponsabilità nulla importa se il fallimento del centrodestra significherebbe anche il probabile default del Paese. Speriamo che almeno i leader della maggioranza ne siano consapevoli e sappiano dare una risposta all'altezza del compito immane che li attende, senza tirare per le lunghe le trattative per le poltrone anteponendo l'interesse nazionale ai tatticismi di partito. La situazione è infatti tale che non ci sarebbe una prova d'appello.

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