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Elezioni, la rincorsa e l'appello al voto utile rischiano di generare solo più astensione

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Domenico Giordano
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L'appello al voto utile, che alcuni leader stanno ripetendo fino allo stremo, presuppone di converso che nell'urna l'elettore possa lasciarne anche qualcuno inutile e dannoso. Tant'è che se il voto degli italiani ha una precisa connotazione e destinazione politiche è ontologicamente un voto bello, democratico e moralmente superiore. Di contro, se il voto dovesse seguire una traiettoria opposta, allora diventa nella narrazione di una parte brutto, illiberale, estremista. Il tutto in barba al principio fondativo delle democrazie moderne e, per non essere da meno, del dettato costituzionale che all'articolo 48 ci rammenta che il voto, inteso come ciascuno voto, è sempre «personale ed eguale, libero e segreto». A prescindere dalla scelta e delle preferenze dell'elettore per questo o quel candidato, per un partito o per una coalizione. Quindi, il richiamo spasmodico al voto utile, motivandolo con l'urgenza di edificare una linea Maginot democratica contro l'invasione dei sovranisti, per arginare il pericolo tecno-fascista o per scongiurare i danni dell'inadeguatezza delle destre italiche qualora dovessero conquistare il governo del Paese, in fine dei conti è un appello intrinsecamente anti-democratico. Perché finisce per imbavagliare lo stesso principio di libertà democratica che vuole tutelare.

 

 

È l'eterogenesi dei fini che si fa beffa di coloro che pur di taroccare il probabile saldo negativo tra entrate e uscite nel quaderno del consenso popolare, artatamente invocano l'emergenza democratica per sottrarre agli alleati, più che agli avversari, qualche migliaio di voti. Solo che la rincorsa all'opportunismo del voto utile, rischia di far dimenticare ai nostri leader la necessità dell'utilità del voto che è la sola terapia indifferibile per curare le nostre democrazie afflitte da un astensionismo sempre più patologico. Una disaffezione ai seggi, in particolare nei più giovani, che fa sì che il primo partito in assoluto sia purtroppo quello che mette assieme proprio chi non si reca affatto ai seggi. In particolar modo, in queste settimane sono stati Enrico Letta, Carlo Calenda e Giuseppe Conte, oggi agguerriti rivali di quel che un tempo doveva essere il campo largo del centro-sinistra, a immolarsi ripetutamente sull'altare di un voto utile. Non passa giorno in cui il segretario dem non rinnova l'appello commosso al voto utile contro le possibili fughe di consenso a favore del Movimento 5 Stelle o in direzione della lista bicefala di Azione e Italia Viva, così come, sulle due sponde opposte non perdono un colpo per le medesime stesse ragioni di sopravvivenza i candidati del terzo polo e quelli della lista contiana.

 

 

Negli ultimi quindici giorni, se diamo uno rapido sguardo al parlato della Rete e dei social, gli hashtag maggiormente utilizzati in abbinamento alla chiave di ricerca «voto utile» sono per l'appunto «Italia sul serio», «dalla parte giusta», «terzo polo» così come, per passare a quelli che citano direttamente i leader troviamo in ordine decrescente «Calenda», «Letta», «Conte» e «Matteo Renzi». Altresì, l'espressione «voto utile» è stata utilizzata, dal 30 agosto al 13 settembre, per ben 375 volte sulla pagina Facebook del Partito Democratico e altre 207 su quella di Enrico Letta. Carlo Calenda e Giuseppe Conte, invece, l'hanno postata sempre su Facebook altre 254 e 107 volte, Raffaela Paita 93, Gianni Cuperlo, 84, Anna Ascani 72 e Laura Boldrini 53. Mentre, se ci fermiamo a monitorare anche l'engagement generato da «voto utile» i primi due leader a prendersi una ampia fetta di partecipazione degli utenti sono stati Alessandro Di Battista sempre su Facebook e Carlo Calenda che invece è andato meglio su TikTok.

 

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