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Liste elettorali, anche la politica "tiene famiglia"

Mario Benedetto
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Altro giro, altra prova. Una politica scatenata ci offre nuove testimonianze di priorità e interessi sempre meno universali, come vocazione e vocabolario vorrebbero, e sempre più «particolari» e familistici, è proprio il caso di dirlo. Anche certa politica, insomma, «tiene famiglia». Le notizie delle prime composizioni delle liste elettorali ci consegnano l’ulteriore fotografia di un evoluzione tribale della dialettica tra partiti e al loro interno, con vecchi capi tribù detronizzati, sostituiti da nuovi arrembanti avventori. Nel senso che in certi casi sono davvero letteralmente tali: avventurieri che con coraggio, spesso spregiudicatezza, si lanciano nella «cosa politica», porto sicuro per un futuro che s’intravede complesso per i prossimi mesi.

È cosi che le tribù politiche si sfaldano, tra gli strali di chi fino a pochi minuti prima della composizione delle liste si stracciava le vesti per la causa e ora, invece, fa volare gli stracci contro la causa, forse proprio con il riciclo di quelle vesti stracciate. Riciclo che, del resto, è concetto in voga di questi tempi. No, non parliamo della sostenibilità ambientale per la collettività, ma di quella economica per i singoli. Quale migliore soluzione di un giro in parlamento?

È cosi, in tempi di crisi, «la famiglia prima di tutto»: da slogan centrista diventa motto universale - questo sì - da parte di chi si dichiara di stare con il popolo. Probabilmente è proprio questo il motivo per cui, nella sua azione di tutela, parte dal nucleo sociale e popolare di base come quello familiare. 
Rispetto alla questione, insieme a quella dei virologi di prossima investitura politica, c’è da fare un ragionamento. Al solito onesto, che parta dai fatti e non caschi in quei tribalismi, che con esso intendiamo piuttosto combattere.

La libertà dell’individuo è sacra, la sua possibilità di autodeterminarsi altrettanto. Ciò per quanto una società bloccata, attanagliata da appartenenze e tribù come la nostra, consenta di fare a chi invece, proprio da uomo libero, si affida alle capacità e al mercato.

Ci sono, però, questioni di coscienza, di etica e, azzarderei a dire, persino di morale. Dunque, mogli, mariti e parenti vari, fatevi pure candidare, se tra l’altro c’è qualcuno che accetta di farlo. Ma non scandalizzatevi nel momento in cui qualcuno, altrettanto legittimamente e senza mai giungere alle offese, abbia qualcosa da dire. Del resto, seppur legittima, non è proprio la più opportuna delle scelte. A meno che non ci si trovi di fronte ai nuovi Martin Luther King, Margaret Thatcher, Alcide De Gasperi o Nilde Iotti. E allora taceremmo.

Ma trovare nelle liste moglie e marito, oppure fratelli o parenti vari di chi non possa candidarsi per regole interne ai partiti, capite bene possa porgere il fianco a parimenti legittime osservazioni e anche qualche cattivo pensiero. Sono principi che, per il loro retrogusto monarchico e tribale, fanno guardare purtroppo indietro.

Così come i virologi. Sia chiaro: massimo rispetto e ascolto nei confronti di coloro che, rappresentanti della scienza, possono guidare decisioni più delicate imposte dalla pandemia e dalle sue conseguenze. Anche qui, per loro come per chiunque altro, la libertà dei propri destini personali e professionali è sacra. Ma anche quelle altrui, appunto, nel momento in cui si trovino a commentare l’abbraccio della politica da parte di un uomo della scienza particolarmente esposto rispetto alla questione pandemica. È legittimo nutrire, a questo punto, dubbi rispetto a quello che hanno dichiarato e, soprattutto, dichiareranno in appresso? Si, lo è. Il perché é semplice: non parlerà più come rappresentante del totale di una comunità scientifica, che per di più si è talvolta trovata comunque in disaccordo, ma di parte di una comunità politica.

Il ragionamento resti la nostra guida, proprio contro le derive tribali. Detto ciò, a quanto apprendiamo in queste ore, il bello deve ancora venire. Molti esclusi si faranno sentire, davanti e dietro le quinte. Certa politica si è talmente immedesimata con il welfare che ambisce essa stessa a rappresentare un ammortizzatore sociale. Anche familiare, appunto. E come in tutti i casi, le voci più rumorose a farsi sentire sono - e saranno, lo garantiamo - quelle degli esclusi.

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