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Aumenti autostrade, Gianluigi Paragone tuona: gli italiani non sono bancomat da prosciugare

Gianluigi Paragone
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Anche la sola idea di chiedere l'aumento dei pedaggi autostradali è degna delle peggiori provocazioni. A prescindere da quella che starà la decisione del governo. Come salta in testa, a questi di Autostrade per l'Italia, di proporre un aumento con tutto il disagio che l'incuria delle «loro» strade sta creando da anni? Non voglio nemmeno citare il dramma del Ponte Morandi, che pure coi suoi 43 morti di vergogne ne ha fatte emergere parecchie, e quindi mi limito alla rabbia che ogni automobilista ha provato frequentemente a ogni riduzione di corsia (quando non curi le strade è normale che poi temi le vibrazioni create dalla velocità e dalla pesantezza dei mezzi), a ogni cantiere messo su senza pensare al traffico, o ad ogni cattiva informazione pubblicata sugli inutili pannelli e via elencando. Insomma un disservizio da primato olimpico, profumatamente pagato al casello.

Magari con quel telepass sempre più funzionale a mille servizi tranne a quello per cui l'avevamo preso (quante volte vi è capitato di inchiodare con l'auto perché la sbarra non si alzava al passaggio?). Code infinite per l'incapacità di saper gestire una concessione governativa, code che - come dicevo - i «clienti» pagano a caro prezzo, senza mai uno sconto per i disagi. E domando se sia giusto questo principio per cui lor signori possono dare disservizi e fregarsene della manutenzione di un bene che è della collettività, e noi dobbiamo pagare e stare zitti. Questo ovviamente capita perché le relazioni contano più dei risultati e la famiglia Benetton, come si è visto, è davvero imbattibile nella rete di amicizie che trova il capolinea nei cosiddetti salotti buoni del «capitalismo» italiano.

Certo, i Benetton sono in buona compagnia ma la cosa importa poco a chi deve sempre pagare. L'elenco delle lamentele è lungo. Vogliamo parlare di quel che accade con le Ferrovie? Treni in ritardo perché una volta c'è un guasto alla rete ferroviaria, un'altra volta perché la linea è sovraccarica, un'altra perché ci sono i lavori, un'altra ancora perché c'è un qualcuno che si butta sotto i treni; fatto sta che la gente paga e i rimborsi sono la solita lungaggine burocratica, visto che la tecnologia serve solo quando conviene a loro e mai quando devono ridare indietro i soldi. L'idea di un rincaro è dunque una provocazione bella e buona. Che tra l'altro va a inserirsi in un periodo in cui gli italiani sono già iper spennati dal caro bollette, dal caro benzina, dal caro spesa e altri rincari su cui il governo non interviene.

Mai come di questi tempi i cittadini si ritrovano solo con spese da affrontare a fronte di un arretramento del potere di acquisto, fortemente condizionato o da stipendi bassi o da contratti di lavoro sempre più precari. Se dunque qualcuno si è messo in testa che gli italiani siano un bancomat ci ripensi perché il livello di stress in questo Paese è al limite della sopportazione.

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