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Occorre assicurare alla Corte dei Conti il ruolo di "occhio" del Parlamento

Fernanda Fraioli
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Eppure, sembrava scontato. D’altronde i termini sono chiari. Amministrare significa «curare il buon andamento, la buona organizzazione di qualcosa», quindi gestire. Controllare, invece, «verificare una cosa per accertarne la regolarità, l’esattezza», cioè vigilare, sorvegliare. Evidentemente era chiaro solo agli addetti ai lavori e, forse, neanche a tutti. Da troppo tempo si sente parlare di co-gestione a fronte non soltanto di due istituti tra loro differenti, ma vieppiù, intestati ad organi altrettanto dissimili. Ed ora, in tema di Pnrr, le cose non cambiano.

Da un lato l’Amministrazione che deve impiegare le risorse al meglio evitando sprechi, dall’altro la Corte dei conti che, controlla se ciò è stato fatto. Da sempre. Ed ora che l’Europa in cambio delle risorse ci chiede di rilanciare la generale situazione socio-economica del Paese, si continua a fare confusione. In disparte l’improvvida eliminazione della colpa grave (tranne per le ipotesi omissive), troppo celermente disposta per la cosiddetta paura della firma, il legislatore ha cercato, forse troppo timidamente di rafforzare l’attività di controllo intestata all’unico organo deputato alla tutela del denaro pubblico. Così timidamente da indurre qualche lettore a non leggere correttamente il disposto normativo trasformando il controllore per eccellenza in co-gestore dell’Amministrazione di turno nell’esercizio dell’istituzionale funzione di tutela dei beni collettivi. La finalità ultima del controllo contabile è, invece, di acconsentire e facilitare il buon andamento dell’amministrazione e lo sviluppo del Paese. 

La funzione consultiva ed il controllo concomitante intestati alla Corte dei conti non sono gestione, ma un suo riscontro, le quali corrono in parallelo con quanto ogni singolo ente deve fare nella propria attività di competenza e che nell’intento del legislatore deve significare non soltanto potenziamento – onde correggere in corsa eventuale errori e/o sprechi gestionali per evitare allungamenti dei tempi – ma un cambio di mentalità affinché la sostenibilità e la tutela della finanza pubblica italiana non sia un metodo limitato all’emergenza che finirà col 2026, bensì una forma mentis da adottare per il futuro. Un cambio di passo per continuare ad assicurare alla Corte dei conti di svolgere lo storico compito assegnatole dalla Costituzione di «occhio del Parlamento», come recentemente definita da un commentatore. L’amministrazione agente, allora, non sarà un sorvegliato speciale, ma un fortunato operatore che può fregiarsi del qualificato controllo di un giudice terzo ed imparziale garante dei conti pubblici che salvaguarda l’interesse della collettività ad un corretto utilizzo delle risorse pubbliche, consentendo, al contempo, all’Amministrazione di correggere eventuali errori, prima ancora che si commettano, eliminando in radice la possibilità di subire sanzioni postume, ma soprattutto di evitare l’incremento della lista delle cattedrali nel deserto di storica memoria a spese della collettività. 

Ora, gli strumenti, ci sono, le indicazioni dei vertici della magistratura contabile anche, manca soltanto l’approvazione del ddl che la Commissione Affari Costituzionali in sede redigente sta approntando che disciplini adeguatamente la funzione consultiva del massimo organo di controllo che va dal preventivo, al concomitante, passando per la funzione consultiva. Sicuramente in occasione del piano di ripresa, ma finalizzato ad un cambio di mentalità per assicurare un lavoro di squadra tra poteri dello Stato che non termini la sua corsa con l’emergenza. A testimonianza del passato devono restare i risultati raggiunti con questa sinergia nell’impiego delle risorse del Pnrr, per il futuro, invece, l’assimilazione di un metodo di lavoro che ne contrassegni l’operato in favore della collettività.

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